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La viticoltura etnea e il versante orientale della Sicilia

8 Settembre 2016 Alessandro Torcoli
L’Etna è un gigante meraviglioso, ma così imponente che rischia di adombrare le meraviglie intorno. Se parliamo di vino, il fatto è lampante. Oggi son tutti pazzi per “a muntagna”. E anche noi ne sentiamo l’energico richiamo: varietà autoctone, suoli vulcanici, le scommesse di imprenditori venuti da ogni dove, dal resto della Sicilia, d’Italia e d’Europa, per imbottigliare lo spirito del luogo. Non di meno, la famiglia Planeta che vanta una storia luminosa, per quanto relativamente giovane, dai primi passi mossi nel 1985. La storia di Diego, il patriarca, della figlia Francesca e dei nipoti Alessio, Santi e di un’altra decina di cugini, tutti o quasi impegnati in qualche costellazione della galassia, comincia nella Sicilia Occidentale, tra Menfi e Sambuca.

Planeta: 370 ettari su cinque territori

Il successo della loro idea, sulle ali di etichette divenute immediatamente cult, come lo Chardonnay e il Merlot, ha portato la famiglia a crescere rapidamente. Oggi i Planeta possono contrare su circa 370 ettari su cinque territori: Menfi (dove si trovano le tenute Ulmo e Dispensa), Vittoria, Noto, Etna e Capo Milazzo. Il fronte orientale è il più recente. Ed è qui che siamo venuti, per comprendere il futuro di questa impresa che non perde smalto grazie a cervelli sempre accesi, non solo dei famigliari, ma anche dei collaboratori eccezionali di Alessio Planeta, capo enologo e responsabile della produzione, Patricia TÓth, enologa ungherese che lavora in Sicilia dal 2005, concreta e appassionata, degli altri due enologi Vito Gambino e Giacomo Marrone, dei tre agronomi Filippo Riportella, Giuseppe Maggio e Nino Scaturro. Solo per citare i tecnici.

Il marchio territoriale Etna

Patricia mi ha accompagnato tra le vigne dell’Est, sotto lo sguardo severo dell’Etna. Il vulcano ha attirato molti interessi, perché effettivamente è speciale. Il suo marchio territoriale è importante. Però l’incredibile mosaico siciliano offre tutt’attorno molti altri luoghi da favola, con espressioni varie di vini autentici. Senza nulla togliere a Sua Maestà, che sa togliere il fato.

La Baronia a Capo Milazzo

Dall’aeroporto di Catania raggiungiamo Capo Milazzo, nel Messinese. Colpo al cuore, con il suo “sprone” di roccia. Si accede alla tenuta de La Baronia varcando il cancello della Fondazione Barone Lucifero, che accoglie bambini in difficoltà, e che ha reso possibile, da un felice incontro, questo progetto viticolo. È un pianoro sferzato dai venti, con scarpate che precipitano nel mare. Otto ettari nella Doc Mamertino, che vede protagoniste le uve Nero d’Avola e Nocera, vitigno che era quasi scomparso. Sono state piantate anche altre tre varietà “reliquia”: il Vitraruolo, la Lucignola e la Catanese nera.

Il Mamertino e il Nocera

La cantina è smontabile, caratterizzata da un’architettura d’avanguardia, un telaio di ferro e pietre attraversato dai venti, ecosostenibile e pensata per essere facilmente asportabile. Ci accostiamo al calice col desiderio acceso dall’incanto intorno. Il Mamertino 2015 ha profumi fruttati, con spezie leggere, e una caratteristica nota iodata che ritorna in bocca; equilibrato e fresco, carezzevole. Proviamo poi il Nocera, di per sé, dai frutti scuri al naso, una notevole stoa e una nota erbacea, che deriva probabilmente da vigne ancora giovani. Si fa sera e il giorno seguente ci aspetta la star.

La viticoltura etnea è un laboratorio en plein air

Visitare l’Etna ai primi di maggio è uno spettacolo di contrasti punteggiati da due tonalità di giallo, l’alastro e la ginestra, inflorescenze cremisi nei campi, esplosioni di oleandri e lingue di lava nera e dura, che fanno paura quando si stagliano nel blu del cielo. Dal punto di vista viticolo, siamo in un laboratorio en plein air. Il luogo non ha nulla in comune con le piccole terrazze o i lari ripidi della viticoltura eroica. Qui, anzi, le vigne devono essere piantate sul piano, perché non c’è materiale di ancoraggio. Nel sottosuolo la terra è lavica, dura. Al di sopra si è stratificato il materiale organico, che è generoso (il 4% rispetto a una media del 2%). Tuttavia manca ciò che dovrebbe stare nel mezzo, come le argille, ciò che normalmente costituisce l’appiglio delle radici. Per questo motivo, è importante creare un solido appoggio alle piante, con ampi terrazzamenti.

Sull’Etna: Sciara Nuova, Montelaguardia, Torreguarino e Pietramarina

Planeta opera in contrade differenti su un totale di 24 ettari: Sciara Nuova, dove si sfiorano i 900 metri, Montelaguardia tra i 680 e i 720, Torreguarino e Pietramarina. «Non esiste un punto migliore di un altro, è importante variare», spiega Patricia TÓth. «Qui l’unico pericolo è la grandine, con danni molto concentrati su piccole parcelle. È quindi importante lavorare su diversi fronti, per minimizzare il rischio. Inoltre c’è una notevole differenza di climi e di suoli: a Montelaguardia e Sciaranuova, solo 3 chilometri di distanza, vendemmiamo con due settimane di differenza». Ormai è entrato nel lessico familiare il termine “contrade”: sono caratterizzate dall’eruzione a seguito della quale si sono formate. Ci vogliono secoli affinché sopra il magma solidificato si riaffacci la vita organica, a partire dai licheni, e nei secoli si creano sostrati assai diversi per profondità e ricchezza. Clicca qui per scoprire quali vini abbiamo assaggiato durante la nostra visita!  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 04/2016. Per continuare il viaggio alla scoperta della Sicilia Orientale acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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