C’è vino in Polinesia: pochi ettari di vigna in un piccolo e incantato angolo di mondo. Qui la vite è arrivata poco più di cent’anni fa, ma ha iniziato a prosperare solo all’inizio di questo millennio. Comincia qui “Journeys around Vines”, viaggio virtuale condotto dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv) attraverso alcuni dei più eccezionali o inaspettati paesaggi vitivinicoli della Terra.
Una vigna nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, su un’isola deserta dell’atollo di Rangiroa, nell’arcipelago delle Tuamotu, Polinesia francese. Atterra tra le foreste di palme da cocco e spiagge da sogno il primo volo virtuale organizzato dall’Oiv in collaborazione con la Fondation pour la culture et les civilisations du vin di Bordeaux. Qui la viticoltura è ancora considerata una scommessa, ma grazie all’impegno di un investitore molto motivato, di un talentuoso enologo francese e all’indispensabile contributo della popolazione locale, il vino polinesiano sta cominciando ad assumere anche un ruolo sociale, un simbolo di unione. A condurre l’approfondimento sul vino in Polinesia sono stati Pau Roca, direttore generale dell’Oiv e Azélina Jaboulet-Vercherre, storica del vino; insieme hanno introdotto il documentario dal titolo Polynesia. A Vine in the Middle of the Pacific, realizzato nel 2016 da Sarah Carpentier.
La vendemmia in Polinesia si fa in barca
L’atollo di Rangiroa è composto da sottili linee bianche e coralline al centro del profondo blu dell’oceano, 370 km a nord di Tahiti; ed è anche una delle più grandi lagune del pianeta. È qui che lavora Sébastien Thepenier, l’enologo francese che dopo la laurea ha rinunciato a un lavoro prestigioso in Alsazia e oggi è a capo di una manciata di polinesiani impegnati a portare avanti un’avventura iniziata circa 25 anni fa.
«Non avrei mai immaginato di finire a lavorare in un posto come questo», afferma Thepenier, intervistato mentre solca le onde dell’oceano per andare a vendemmiare. La vigna, di meno di 10 ettari, si trova a circa 15 minuti di barca – che è l’unico mezzo per raggiungerla – dal villaggio più vicino.
Numerose sfide da affrontare
All’inizio del secolo scorso alcuni missionari piantarono la prima vigna in Polinesia per tentare di produrre vino da messa, ma l’esperimento fallì. Per un nuovo tentativo si dovrà aspettare fino al 1992, quando un gruppo di enofili francesi si cimentà nuovamente nell’impresa. Venne selezionato un punto specifico dell’atollo, vennero testati diversi vitigni – i migliori risultati li hanno dati Carignan, Grenache e un’uva chiamata Italia, un incrocio di Bican e Muscat Hamburg – e sistemi di allevamento della vite fino a raggiungere l’obiettivo. La prima vendemmia avvenne dopo 7 lunghi anni di prove e di studi. In una terra senza inverno, la vite aveva finalmente raggiunto la capacità di resistere al caldo estremo e all’umido clima tropicale. La vigna di Rangiroa si è così tropicalizzata. La vendemmia qui si svolge due volte all’anno, a settembre e a marzo. La squadra di Thepenier lavora spesso in condizioni estreme, sotto il sole cocente o piogge devastanti come il ciclone Oli, che nel 2009 ha rischiato di spazzare via il vigneto.
Da sogno un po’ folle a realtà internazionale
Nessuno, però, si è scoraggiato e la vigna è stata recuperata. Un lavoro incredibile se si pensa che alcuni dei lavoratori polinesiani non avevano mai visto un grappolo d’uva prima che Thepenier li arruolasse. Questo progetto nasce dalla passione di Dominique Auroy e dal suo «sogno un po’ folle di fare il primo vino della Polinesia», come lo ha definito lo stesso creatore. Il francese arrivò a Tahiti più di 40 anni fa per il suo lavoro da ingegnere a cui, ben presto, si accostò l’interesse per il vino. Nonostante la sua cantina personale custodisca oltre 20 mila bottiglie, il vino più pregiato per lui non ha nemmeno un’etichetta; è datato 1999 ed è il frutto della prima vendemmia in Polinesia, da cui si ottennero appena 1,5 litri di vino: «Per me non ha prezzo. Non è solo vino, è una storia da raccontare», afferma commosso Auroy, la cui passione non conosce confini e ostacoli. Oggi il vino della Polinesia sta riscuotendo un successo internazionale grazie a 40 mila bottiglie di vini bianchi e rosati prodotte ogni anno sotto il nome di Vin de Tahiti.
Le viti affondano le radici tra i coralli
«È il terroir più marino del mondo ed è composto da un substrato di coralli», spiega l’enologo. E tra i filari passeggiano grossi granchi.
«Possono essere nostri alleati perché smuovono la terra», continua Thepenier, che ha scommesso su questo tipo di suolo formato da antichi coralli ed è composto da conchiglie e fossili; è un terreno del tutto simile a quelli calcarei di origine marina in cui affondano le radici alcuni dei vigneti più famosi al mondo.
Il ruolo sociale e culturale della produzione di vino in Polinesia
Oggi circa 40 persone del luogo lavorano tra la vigna e la cantina, come Jacqueline e il figlio cresciuto in mezzo ai filari. La viticoltura sta dunque portando nuove risorse a queste terre lontane, dove viene prodotto il più esotico dei vini francesi. Ma Jacqueline afferma: «Nel bicchiere c’è un mix di Polinesia e Francia, ma soprattutto Polinesia». Nel giro di pochi anni, la viticoltura ha assunto il ruolo sociale e culturale che l’ha sempre contraddistinta; grazie a storie come questa, una piccola isola sperduta nel mezzo del Pacifico potrebbe trovare ora spazio nella storia del vino.
Foto di apertura: © Reiseuhu – Unsplash