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Vino e terracotta, facciamo il punto

20 Marzo 2017 Stefano Tesi
Sono state essenzialmente tre le questioni che “La terracotta e il vino”, seconda convention su vino e terracotta organizzata lo scorso novembre dalla Fornace Artenova a Impruneta (Firenze), ha lasciato aperte alle considerazioni di produttori, tecnici e appassionati intervenuti.

La naturalità è garanzia di neutralità?

La prima – al di là delle posizioni ideologiche che talvolta certe filosofie “naturalistiche” generano un po’ acriticamente e che sono destinate a costituire la tara di qualsiasi dibattito – è se la naturalità del materiale con cui è fabbricato il contenitore possa essere di per sé, o in che misura, garanzia di effettiva neutralità.

Come affrontare una diffusione su larga scala

La seconda è se e come, quando e nel momento in cui il ricorso ai vasi vinari in terracotta dovesse diventare diffuso su larga scala o comunque assumere proporzioni quantitativamente rilevanti, un settore produttivo rimasto finora nello stretto ambito artigianale e basato su tecniche di fabbricazione poco standardizzabili sia in grado di sostenere la domanda, mantenendo gli indispensabili requisiti di uniformità qualitativa e di linearità prestazionale delle giare messe sul mercato.

Vino e terracotta, c'è il rischio del ghetto tipologico?

La terza è in che modo le tecniche di fermentazione e di affinamento in terracotta siano compatibili con quelle correnti e possano pertanto essere praticate, o perfino a esse abbinate, senza correre il rischio di restare nell’ambito di un magari dorato, ma emarginato ghetto tipologico. Tutti interrogativi ai quali, va detto, gli organizzatori della due giorni toscana hanno tentato di offrire una qualche risposta.

Il confronto con l’acciaio

Riguardo al primo profilo, durante la convention sono stati presentati i risultati parziali della ricerca sul comportamento chimico-meccanico dell’argilla da vino del dipartimento di Chimica Ugo Schiff dell’Università di Firenze, coordinato dal prof. Luciano Lepri. Due gli scopi: determinare comparativamente i macroparametri chimici e chimico-fisici del vino proveniente da uve dello stesso vigneto, ma vinificate sia in vasi di terracotta che d’acciaio, e verificare la porosità dei vasi stessi prima e dopo la vinificazione.

Porosità e temperatura di cottura delle anfore

A questo fine Artenova ha fornito quattro diverse anfore sperimentali di sua produzione, due cotte alla temperatura di 1.050 °C per 70 ore, e due alla temperatura di 900 °C per 78 ore, chiedendo ai ricercatori di valutare l’influenza di questi due parametri. Le prime misurazioni hanno evidenziato che le anfore cotte a temperatura minore mostrano un maggiore percentuale di assorbimento di acqua (circa il 18%) rispetto alle altre.

La sperimentazione su Sangiovese e Cabernet Franc

Il test sarà ora ripetuto su porzioni analoghe di anfora venute a contatto col vino. Interessanti anche i risultati dell’altra parte del progetto, che prevedeva di far fermentare e affinare, contemporaneamente, uve di Sangiovese e Cabernet Franc sia nelle due diverse tipologie di anfora che in tradizionali contenitori in acciaio. Alla fine della fase di fermentazione, il profilo aromatico e la composizione minerale del vino non hanno mostrato particolari differenze tra i due contenitori. Si è riscontrato invece che, nella fase di fermentazione, entrambi i tipi di anfora tendono a cedere piccole quantità di alluminio, costituente principale, in forma di silicato, della terra di partenza.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 01/2017. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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