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Vinitaly: la prima impressione è quella che conta?

2 Aprile 2012 Marianna Corte
Milano 8.35 - Verona 9.57. Un viaggio veloce per raggiungere Vinitaly, per la prima volta. Alla stazione di Verona Porta Nuova, una coda infinita per le navette e un’altra altrettanto lunga ma più ordinata per i taxi. È  lunedì 26 marzo,  il secondo giorno della fiera, ma è la mia prima visita in assoluto. Meglio l’attesa ordinata, ancor meglio se si scopre che la cooperativa dei radiotaxi della città si è organizzata in una sorta di car pooling, dove addetti con la pettorina invitano i passeggeri a utilizzare la medesima macchina. Dopo 10 minuti scarsi salgo su un taxi con degli sconosciuti e all’arrivo pago solo 2 euro per la corsa. Questo Vinitaly inizia bene e non rimpiango la camminata, seppur breve, dalla stazione di Firenze Santa Maria Novella alla Fortezza da Basso, sede di Pitti Uomo, la fiera che raccoglie il meglio, o quasi, delle firme della moda non solo italiana. All’ingresso della fiera di Verona quello che colpisce è la varietà del pubblico: c’è il giornalista che cerca di telefonare ma non riesce, perché quel giorno cellulari e connessioni alla rete erano in black out per un problema dei gestori di telefonia, c’è il produttore che parla di affinamenti con l’enologo, c’è l’architetto che discute della prossima bottaia, ci sono i ragazzi che hanno pagato 50 euro per assaggiare ogni etichetta e, già la mattina presto, hanno il sorriso per il viaggio tra i bicchieri d’Italia che stanno per fare, un’avventura che in alcuni casi li vedrà a sera cantare con una bottiglia in mano, perché anche questo è Vinitaly, che piaccia o meno. E poi i padiglioni che catturano l’attenzione per la loro grandezza e per l’immagine: gigantografie di panorama, perché il territorio è importante, fotografie immense di tralci e mani che tagliano la vite, perché la terra e il lavoro nella terra, sono importanti. E poi la vastità dell’offerta: tanti, tantissimi, i produttori, le bottiglie, i bicchieri che travolgono gli ospiti. E così, anche chi conosce il panorama vitivinicolo italiano, si stupisce una volta di più di quante siano le etichette. Ogni regione, quasi ogni provincia, ha la propria zona vocata, dove ogni produttore ha la propria storia da raccontare. Nulla di nuovo per un esperto e ancor più per un habitué che in ogni Vinitaly trova conferma del valore unico dell’Italia del vino; una bella sorpresa per chi a Verona arriva la prima volta. Ecco allora che il pensiero va ancora all’altra fiera, all’altro comparto e quindi a Pitti Uomo, dove nei corridoi i buyer si muovono tra uno stand e l’altro incuranti di ciò che sta intorno e dove i giornalisti parlano solo e soltanto di un made in Italy che cercano disperatamente, e visitatori arrivano al Pitti sperando di poter comprare una pashmina a un filo di cashmere e, nel migliore dei casi, tornano a casa con un braccialetto di seta colorato, destinato a diventare trendy in un mondo fashion sempre più cool. A Vinitaly no: non conta tanto essere trendy, perché l’impressione che si ha è che il produttore sia lì non solo per promuovere il proprio vino, ma anche per raccontare la propria storia anche a chi, da semplice appassionato, a Vinitaly va solo per assaggiare.  

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