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In Cile avanzano vinos campesinos e País

30 Novembre 2018 Emanuele Pellucci
Negli ultimi anni, grazie anche ad aiuti di governo, si stanno affermando i vini artigianali cileni. I "vini del contadino" e le piccole produzioni. La superficie coltivata a vigneto per uva da vino è di poco superiore ai 137.374 ettari (la produzione 2017 è stata di 8.705.554 ettolitri). Altre superfici sono destinate a uva da tavola e da Pisco.
Mentre l’industria del vino cileno continua a mettere in commercio prodotti sempre migliori che trovano sbocco principalmente sui mercati internazionali (il Cile è il quarto Paese esportatore dopo Francia, Italia e Spagna), è interessante vedere come da alcuni anni piccole e medie realtà stiano cercando spazio e visibilità.

Obiettivo: superare l'omologazione

Una ricerca per caratterizzare produzioni a lungo omologate dall’uso generalizzato di pochi vitigni di origine francese e delle barrique, con il risultato di avere vini corposi, di alto tenore alcolico, ma con bassa acidità seppure di piacevole beva. E ciò a prescindere dalla regione di produzione. Al momento in Cile non esiste, infatti, una classificazione di denominazioni di origine di tipo europeo. Dal 1995 è però presente una suddivisione delle zone di produzione ripartita per regioni, subregioni, zone e aree.

I primi vini cileni artigianali (e la riscoperta del Carignano)

Tra le prime realtà a muoversi per caratterizzare le produzioni legandole al territorio e alle sue tradizioni ci sono le associazioni Movi (Movimiento de viñateros independientes) e Vigno (Vignadores de Carignan). La prima, fondata nel 2009, riunisce piccoli produttori con l’obiettivo di diffondere un nuovo modo di proporre il vino cileno, nel senso di prodotto artigianale, in varie sue tipologie (organico, biodinamico, “secano” o secco, garage, ecc.). La seconda è nata nel 2010 per rilanciare la varietà Carignano, molto diffusa nella regione meridionale del Maule.    

Un’alternativa ai vini dell’industria

Di recente altri prodotti competitivi (si fa per dire, viste le dimensioni…) si stanno facendo conoscere: i vinos campesinos e le pequeñas producciones. In apparenza sembrerebbero complementari, ma non è così. I primi sono prodotti da chi vive unicamente dell’attività agricola, quelli che un tempo noi chiamavamo i vini del contadino. I secondi invece sono realizzati da chi opera anche in altre attività e destina al commercio solo poche migliaia bottiglie di vino (il limite è 100 ettolitri), magari vendendo la maggior parte dell’uva ad altre Cantine, anche le più affermate.

Il contributo del governo cileno

Queste nuove realtà sono destinate a crescere di numero, grazie anche all’aiuto governativo dell’Instituto de desarrollo agropecuario. «In genere si tratta di produzioni che vanno dalle 1.000 alle 7.000 bottiglie», ci spiega Romye Alejandra Barra Iturriaga dell’Indap della VI regione O’Higgins. «Pur possedendo anche ampie superfici di vigneti, questi agricoltori non hanno le condizioni per vinificare l’intera raccolta. Per questo motivo la maggior parte dell’uva viene venduta. Da un anno stiamo lavorando per introdurre questi vini nei ristoranti e nei negozi specializzati. Sono prodotti di buona qualità che anche al recente concorso Catad’Or Wine Awards hanno ottenuto varie medaglie».    

Vini che raccontano il territorio

«In effetti tra questi vini», ci dice Eugenio Lira, presidente degli enologi cileni, «si trova di tutto. Dobbiamo essere chiari con i campesinos. Bisogna spiegare loro quando la qualità non è buona». E la grande industria come vede questa novità? «I più intelligenti aiutano i piccoli, ad altri la cosa non interessa». Interessa invece agli organizzatori del Catad’Or Wine Awards che, infatti, si stanno attivando per farli conoscere con iniziative promozionali anche fuori del Cile. «Ci siamo accorti», dice Pablo Ugarte, direttore esecutivo del Catad’Or, «che questi viticoltori esprimono vini con interessanti diversità. Sono prodotti del territorio ottenuti con sistemi artigianali e con grande attenzione alla sostenibilità. Già oggi trovano spazio nei ristoranti perché rappresentano un concetto di vino più che una marca, e poi perché non sono commercializzati nei consueti canali».    

Un Paese risparmiato dalla fillossera

Per Héctor Riquelme, notissimo sommelier, non ci sono dubbi: «Oggi la gente cerca un’alternativa ai vini dell’industria. E la trova proprio in quelli dei piccoli produttori, ottenuti spesso da vigne non irrigate e su piede franco. Il Cile è il Paese che ha la maggiore superficie vitata con piede franco perché qui la fillossera non è mai arrivata». In passato questi piccoli produttori avevano dato vita a varie cooperative, ma oggi ne sono rimaste due sole: Loncomilla e Cauquenes. «Nella nostra cooperativa», ci spiega Álvaro Muñoz Yañez, general manager di Loncomilla, «la metà dei soci appartiene alla tradizione familiare contadina, mentre l’altra metà sono Cantine con maggiore tecnologia e con altre attività alle spalle. Al momento vendiamo quasi esclusivamente vino sfuso e solo poca produzione finisce in bottiglia». Nella foto di apertura: la mano del desierto ad Atacama  
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