La storica cantina dei Castelli di Jesi Tombolini riparte dalle origini, innovando in vigna e in cantina. E associa la sua immagine esclusivamente al vitigno bianco marchigiano. Doroverde e Castelfiora i capostipiti del nuovo corso, cui si aggiungeranno in futuro due cru e un Metodo Classico.
Per Tombolini, cantina storica dei Castelli di Jesi, il ritorno al futuro ha la forma intramontabile dell’iconica anfora verde, che ha reso questo vino riconoscibile nel mondo, e la volontà di associare fortemente il suo nome, tornato al marchio originale, alla bacca bianca regina delle Marche.
«Solo Verdicchio per il presente e per il futuro, la nostra azienda non produrrà altro d’ora in poi», giura Carlo Paoloni, che ha deciso di affiancare nella proprietà la madre Fulvia Tombolini. E ha ereditato l’intuizione del bisnonno Sante, che nel secondo dopoguerra, scampato alla battaglia di Caporetto, decise di investire in vigneti dopo una florida attività di spezie e liquori, avviata nel 1921.
Nel segno del Verdicchio
«Le due rivoluzioni della mia vita sono datate 2013 e 2021, l’anno del centenario della cantina che coincide con un nuovo inizio», racconta Carlo nell’evento di presentazione a Milano delle due etichette di Verdicchio in purezza che battezzano il progetto: Doroverde e Castelfiora. «Quasi 10 anni fa ho deciso di lasciare la carriera in una banca d’affari a Londra per dedicarmi ai vigneti. E durante i mesi di pandemia ho avuto l’occasione di fermarmi e prendere la seconda scelta importante della mia via; ripensare integralmente il nostro approccio. Non mi capacitavo del perché nella percezione collettiva il posizionamento di questo vino fosse inferiore rispetto al valore di quello che era contenuto nella bottiglia. E non mi spiegavo come la bellezza e l’unicità dei Castelli di Jesi venisse poco comunicata, studiata, esaltata».
Studi in vigna e in cantina
Dalle dettagliate mappe geologiche è partito un inedito, per la tipologia, studio dei suoli sui 30 ettari di proprietà, che ha rivelato la presenza di una grande varietà: dall’argilla pesante, capace di regalare ricchezza ai vini, a sabbie e arenarie, fino ai terreni ricchi di scheletro e sedimenti trascinati dal fiume Musone che dagli Appennini sfocia nell’Adriatico. È quindi nato un progetto enologico teso alla valorizzazione del vitigno tramite tecniche specifiche, in vigna e in cantina.
«Guardiamo i vigneti con occhi nuovi. Per esaltare al massimo il nostro patrimonio territoriale i 14 appezzamenti, caratterizzati da suoli molto diversi con viti che hanno dai 25 ai 50 anni d’età, sono seguiti ognuno in modo specifico. In cantina utilizziamo tecniche e contenitori innovativi, come le uova di cemento».
Nuova vita all’anfora verde
Anche la bottiglia scelta per i nuovi vini, l’Anfora Tombolini 100 anni è una connessione col passato. Ha le forme classiche, che la cantina è stata tra le prime ad adottare fin dal 1954, ma un collo più lungo, come una renana, e spalle più strette.
«È il risultato di un processo di design che abbiamo voluto per riappropriarci della nostra identità storica, rinnovandola. Il sogno è che queste forme, questo packaging, comunichino che il loro contenuto è il prodotto della parte più alta della denominazione; e non quella più bassa. Un progetto che speriamo conquisti altri produttori della regione».
Doroverde, autentico e innovativo
Doroverde e Castelfiora, i due pilastri della nuova produzione «a cui in futuro si aggiungeranno due cru e un metodo classico», sono due espressioni di Verdicchio in purezza. Per entrambi l’annata d’esordio è la 2020. Il primo è più immediato e beverino. «Affina in parte nelle oeuf de beaune, contenitori oviformi in cemento non vetrificato, che consentono di togliere la crudezza dell’acciaio che caratterizza soprattutto le annate più giovani di Verdicchio», spiega ancora Paoloni. «La parte aromatica e di frutto è invece mantenuta grazie a una tecnica di vinificazione più riduttiva, con la quale controlliamo che non ci sia contatto con l’ossigeno durante tutto il processo». Il risultato sono note di frutta fresca, che ricordano il melone, inusuali per la tipologia. La sapidità al palato arriva invece dai suoli più calcarei della tenuta.
Castelfiora, ripensare un classico
Castelfiora, nome che rappresenta la storia di Tombolini e di cui è in cantiere anche una versione Riserva (sempre dell’annata 2020), «è invece il tentativo di esaltare la longevità del Verdicchio».
«Fatto con uve provenienti dalle migliori parcelle, su suoli di antichissime arenarie è un vino che va alla ricerca del volume e della struttura, ma conserva una vena di freschezza», prosegue il nuovo riferimento della cantina marchigiana. Dopo un passaggio in acciaio il 50% della massa affina 10 mesi in tonneau di Borgogna, una percentuale più piccola macera in otri di ceramica. Al naso il timbro del legno è delicato, e le note varietali ancora ben riconoscibili.
«Con Doroverde e Castelfiora abbiamo esordito con 35 mila bottiglie complessive, ma in futuro queste due referenze saranno affiancate da altre espressioni di Verdicchio. L’obiettivo è arrivare a una produzione di 200 mila bottiglie».
Foto di apertura: i 30 ettari di proprietà sono caratterizzati da suoli di grande varietà