Il Valpolicella è un vino molto godibile che ha tutte le carte in regola per mettersi in mostra: rosso, fresco, ancorato al territorio, da uve autoctone e a prezzi contenuti. I suoi prestigiosi fratelli maggiori sono il Ripasso e l'Amarone. Molte sono le novità e i cambiamenti attuati all’interno della denominazione.
Rispetto a circa trent’anni fa la piramide della Doc veronese Valpolicella ha registrato un’interessante inversione di tendenza a livello produttivo.
Ieri, infatti, in un momento in cui si consumava vino quasi esclusivamente per ragioni alimentari, da un punto di vista quantitativo, alla base di questa piramide si trovava la tipologia Valpolicella Classico, il vino con i maggiori volumi, quindi, a salire, la versione Superiore e al vertice l’Amarone/Recioto. Oggi, con l’evoluzione a un consumo edonistico, l’Amarone si pone non solo come vino di eccellenza ma anche come il più venduto. Seguono Valpolicella Ripasso e, come fanalini di coda, Valpolicella Superiore, Classico e Recioto. Il tutto in accordo con i disciplinari di produzione e in relazione a un’attività consortile che per compattare la filiera attorno a un Amarone di eccellenza non solo si è battuta per la Docg (e l’ha ottenuta nel 2010 pure per il Recioto) ma, per mantenere alte le quotazioni sul mercato, ha anche ridotto l’appassimento delle uve dal 65 al 50% della produzione massima a ettaro e ha richiesto il blocco dei nuovi impianti fino al 2014. Trovando terreno fertile nei soci.
Viene da chiedersi che cosa sia successo nella denominazione per comportare una serie di risultati che rappresentano una sorta di case history di successo. I fatti sono tanti, come variegati sono i volti di una Doc oggi tutta da scoprire (o riscoprire).
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Una svolta, le motivazioni
La rivoluzione del Valpolicella Doc passa attraverso alcuni passaggi storici di importanza primaria: la modifica al disciplinare di produzione della Doc, l’introduzione del disciplinare per il Ripasso e il riconoscimento della Docg per le tipologie Amarone e Recioto, tutte legate al decreto ministeriale del 24 marzo 2010, l’obbligo dell’imbottigliamento in zona, l’evoluzione nelle tecniche di appassimento a temperatura controllata, la valorizzazione di vitigni autoctoni di qualità ma ieri scartati perché poco produttivi e il compattamento della filiera ottenuto anche superando la delicata crisi di passaggio tra generazioni.
«Nel 1968, quando è nata la Doc, non avevamo abbastanza Valpolicella da soddisfare le crescenti richieste; di qui era nata l’esigenza di allargare la denominazione dalla zona storica, incentrata sui comuni di Negrar, Marano, Fumane, Sant’Ambrogio e San Pietro in Cariano, alle aree a est di Valpantena, Val Tramigna, Val d’Illasi e Val di Mezzane», ci spiega Daniele Accordini, enologo e vicepresidente del Consorzio Vini Valpolicella Doc. L’allargamento ha significato anche un arricchimento delle opportunità della denominazione a livello qualitativo, con stili che si sono affermati grazie alla vocazionalità e alle singolari caratteristiche pedoclimatiche di ogni zona o cru.
Il cambio climatico di cui alcune denominazioni hanno sofferto in questi ultimi anni ha avuto un effetto positivo sulla maturazione delle uve della Valpolicella, che hanno migliorato le loro performance anche per effetto di una accurata selezione clonale. La possibilità contemplata nel nuovo disciplinare del Valpolicella Doc di inserire, oltre ai predominanti Corvina veronese (dal 45 al 90%) e Rondinella (dal 5 al 30%), vitigni a bacca rossa non aromatici, ha aperto inoltre la strada a piccoli autoctoni ieri esclusi ma che possono offrire interessanti contributi a livello gustativo come Dindarella e Oseleta. La Molinara, fino a ieri terza uva in ordine di importanza nella denominazione, è stata invece resa facoltativa, sempre in base a criteri di apporto di qualità sotto il profilo organolettico.
Anche la Valpolicella ha risentito del trend della “guyottizzazione”, che ha interessato in particolare la pianura, ma la classica forma di allevamento a pergola veronese rappresenta la scelta più sposata in zona con quota 80%.
Lotta senza campo, inoltre, alle contraffazioni che hanno reso l’Amarone facilmente vittima di truffe e speculazioni e imposto alla Camera di commercio di Verona la registrazione dei marchi Ripasso, Amarone, Amarone della Valpolicella e Recioto della Valpolicella in Italia, Unione Europea e nei principali mercati mondiali come Stati Uniti, Sudafrica e Australia. «Nel 2010 si sono fregiate della fascetta di stato 13,2 milioni di bottiglie di Amarone, i controlli sono stati costanti e rigorosi. E quest’anno abbiamo avviato la proceduta per ottenere la fascetta anche per il Ripasso», ha affermato Accordini.
Le tendenze: più ettari e più uva
Se nel 1975 la produzione annua di Amarone e Recioto prevedeva circa 20.000 quintali di uva, nel 2008 ha raggiunto la quota record di 298.000. «In particolare, dal Duemila al 2010 si è più che raddoppiata la quantità di uva per l’Amarone», ci dice Daniele Accordini. «Quindi il successo partito nel 1997 ha avuto l’effettivo inizio nel Duemila, a passi da gigante si è arrivati al 2010 e sembra che questo trend non sia ancora finito, anzi già si parla di una forte richiesta di uve per Amarone nella vendemmia 2011».
Ad Anteprima Amarone, l’evento che da anni presenta in primissima battuta le annate pronte per la commercializzazione (e quest’anno è stata la volta del 2007), è balzato all’occhio il fatto che, complice l’effetto Docg, tra il 2009 e il 2010 le uve per Amarone e Recioto sono passate da 218.954 a 282.000 quintali per un prezzo medio cresciuto da 1,60 a 1,80 euro/kg. In parallelo, in Valpolicella è aumentata anche la superficie vitata che nel 2010 ha visto un incremento di 150 ettari.
I prezzi al consumo non sono scoraggianti. Anzi. Se in media un buon Valpolicella Classico si trova franco cantina a 4-5 euro (in enoteca a 7-9), il Ripasso va dagli 8 agli 11 euro (17-20 euro) e l’Amarone spazia dai 20 ai 25 (dai 40 in su in enoteca). E se l’Amarone in Valpolicella è sulla bocca e nelle cantine di tutti, risulta più arduo reperire un Valpolicella Classico, missione ancora più complicata se ci si reca al ristorante. «Vista la marginalità molto alta, il 60-80% della produzione della Doc riguarda Amarone e Ripasso», conferma Daniele Accordini.
«Negli ultimi trent’anni, oltre ai classici fattori come terreno, clima, vitigni, uomo, la Valpolicella ha beneficiato di un nuovo sostenitore: un consumatore che progressivamente ha privilegiato vini di carattere, piacevoli da bere e quindi di qualità, preferiti nell’acquisto se originati da uve autoctone», aggiunge l’enologo Lanfranco Paronetto, figlio dello storico Lamberto e da 25 anni consulente per Masi. Il cambio climatico a suo avviso ha aiutato la Valpolicella ad acquisire vini con più colore, componente alcolica e tannica, fattori che hanno fatto reso vincenti i passiti veronesi.
Paolo Grigolli, enologo per una rosa di Cantine in Valpolicella, conferma il successo del binomio uve autoctone e vini di carattere, e aggiunge: «Se la Valpolicella è cresciuta negli ultimi 30 anni, molto lo si deve ai piccoli produttori che sono entrati in sinergia con le cooperative. Inoltre, a fronte di un clima che ha portato le uve per il Valpolicella a livelli di maturazione ottimale e, in parallelo, aumentato la componente alcolica nei vini, la media dell’export del Valpolicella oggi arriva fino al 70%».
Vini all’assaggio: come sono?
Non si può considerare il Valpolicella Doc indipendentemente dalle caratteristiche della Valpolicella (dal greco polyzèlos, “molto beata”, o “valle delle molte celle”, ovvero “cantine”), singolare “culla” di pianura e colline poste tra il lago di Garda e i monti Lessini, benedetta da un clima particolarmente mite. Vini che profumano di ciliegia, marasca e frutta rossa nella versione più fresca e vivace come il Valpolicella Classico, infatti, o che avvolgono il palato di confettura e vaniglia come il Ripasso, fino alle spezie o alla nocciola preziosa dei grandi Amarone, trovano indiscutibilmente le loro “radici” in un territorio costellato di pievi romaniche, capitelli, sorgenti fino a boschi e rade case in pietra e patria di una rinomata produzione di marmo. I terreni spaziano dalla zona vulcanica di Marano ai calcari di San Pietro in Cariano, dalle arenarie dell’alta collina di Fumane alla pietra rosso veronese di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Un microcosmo di suoli in otto vallate che, come testimonia Daniele Accordini, «rendono ogni vino particolare. Da noi non esiste un modello univoco. I produttori sono interpreti che, in base a terreno e a clima, valutano e poi scelgono il tipo di vitigno, di portainnesto e di clone più adatti per esprimere il loro stile».
La zonazione è, al di là delle presentazioni ufficiali, da decenni nel sangue dei viticoltori locali che, di annata in annata, scelgono quanta uva dedicare alla produzione di vino più giovane e quanta mandare in appassimento per l’unico rosso passito Docg italiano, l’Amarone, o per la sua versione dolce ma meno fortunata a livello di vendite, il Recioto. Un vino particolarissimo, con sentori di frutta rossa matura e viole pressoché sconosciuto sui mercati extraveronesi ma Docg anch’esso dalla vendemmia 2010 e quindi oggi al centro di un’opera di valorizzazione. O ancora per il Ripasso, un Valpolicella ottenuto da macerazione con vinacce fermentate di uve appassite precedentemente utilizzate per la produzione del Recioto o dell’Amarone, e quindi più rotondo e ammiccante di un Valpolicella Superiore tout court. Un vino che sta incontrando un successo eccezionale soprattutto all’estero e che il Consorzio dissuade dal chiamare “baby Amarone”, anche se all’assaggio le sue note passite strizzano inevitabilmente l’occhio al suo “parente” più antico. Proprio l’Amarone, che la tradizione vuole figlio illegittimo di un Recioto dimenticato in botte da anni e diventato secco (Recioto scapà) e che la storia vede menzionato dallo studioso settecentesco Scipione Maffei a Cassiodoro, ministro del re longobardo Teodorico nel 500, in 15 anni è balzato ai vertici delle preferenze mondiali e, grazie alla vocazione all’invecchiamento (la bottiglia più famosa è il celebre Acinatico di Bertani del 1928) ha ottenuto anche ottime quotazioni in aste internazionali.
«La nostra è una denominazione di rossi articolata e, per così dire, completa», spiega Emilio Pedron, presidente del Consorzio tutela Vini Valpolicella. «Abbiamo un prodotto giovane e fresco come il Valpolicella, un vino più impegnativo ed eclettico come il Ripasso, un grande rosso come l’Amarone e il Recioto, che è uno dei pochi rossi passiti dolci italiani. Lo sforzo per il Consorzio sarà quello di valorizzare le diverse particolarità di questi vini».
Il momento d’oro della Doc
Se chiediamo a Emilio Pedron di spiegarci come il Valpolicella Doc è cresciuto dal 1991 a oggi la risposta è molto articolata: «Si va dalla predilezione dei consumatori per vini di carattere da vitigni autoctoni che premia la piacevolezza di beva della Doc agli investimenti in qualità (in vigna e in tecnologia, soprattutto per l’appassimento) effettuati dai produttori; dal buon rapporto qualità-prezzo alla compattezza di una filiera che include storici e nuovi, della zona classica e della zona allargata, padri e figli a confrontarsi con le dinamiche di un mercato sempre più globale».
Pedron, past president tempo fa e tornato proprio quest’anno ai vertici del Consorzio di tutela, da uomo di marketing non ci nasconde: «La Doc si trova in un momento d’oro, in dieci anni abbiamo triplicato la produzione lorda vendibile e raddoppiato le Cantine dedite all’imbottigliamento e alla commercializzazione, negli ultimi mesi del 2010 sta aumentando l’imbottigliato di Amarone». Con quali prospettive, chiediamo. «Oggi, in una zona dove la quantità di vino producibile è rigorosamente definita dal disciplinare, l’aspirazione dei viticoltori è crescere in qualità e le nostre attività promozionali punteranno a conquistare gli ultimi palati restii», ci dice.
Reduce dal successo riscontrato in degustazioni di Amarone dai 10 ai 40 anni in Quebec («Ovunque lo facciamo assaggiare riscuote ottimi consensi»), Pedron ammette però che oggi manca un’analisi puntuale dei mercati, dei canali distributivi e delle modalità di commercializzazione della Doc. Una fotografia oggi indispensabile per muoversi con successo e in maniera compatta nei diversi Paesi (storici ed emergenti).
Così, dopo l’analisi della struttura produttiva della Valpolicella presentata sei anni fa in collaborazione con Eugenio Pomarici dell’Università di Napoli, ci anticipa: «L’anno prossimo, in occasione di Anteprima Amarone, avremo i risultati di un nuovo studio in collaborazione con l’Università di Verona che ci farà comprendere le chance commerciali della Doc a livello globale».
Tra i progetti che accarezza rientra il reperimento di una struttura polivalente per ampliare le opportunità della ricerca, da valorizzare anche come sede di immagine per il Valpolicella Doc. «Uno dei prossimi passi che mi piacerebbe concretizzare è inoltre l’ottenimento della certificazione ambientale per il Valpolicella. L’ecosostenibilità è un traguardo ormai irrinunciabile», ha concluso Pedron.
Valpolicella in cifre
La zona di produzione della Doc Valpolicella si estende nella fascia pedecollinare della provincia di Verona per circa 45 chilometri, dalle rive del lago di Garda al confine con la provincia di Vicenza, per un totale di 19 comuni dei quali cinque nella zona “classica”. Gli associati al Consorzio di tutela sono 169 imbottigliatori, dei quali 7 Cantine sociali, e oltre 1.900 aziende agricole e 412 fruttai per l’appassimento di uva. La superficie vitata è pari a 6.363 ettari, con un potenziale di oltre 763.500 quintali di uva. Divisi per tipologia, gli ettari sono equamente spartiti tra Valpolicella Classico e Valpolicella Doc (3.150 ettari ciascuno). Nel 2009 la produzione di uva destinata a vini Valpolicella a denominazione di origine è stata pari a 735.157 quintali, dei quali 218.954 vinificati ad Amarone e Recioto, 215.749 a Valpolicella Classico e 300.472 a Valpolicella. La produzione complessiva di vino è ammontata a 448.935 ettolitri e a 49,4 milioni di bottiglie, delle quali 40 milioni di Valpolicella (compresi 13,6 milioni di bottiglie ottenute con la tecnica del Ripasso), 9 milioni di Amarone della Valpolicella (diventate 13,2 nel 2010) e 400.000 di Recioto della Valpolicella. Il fatturato franco cantina è stato di 76 milioni di euro per il Valpolicella, 108 milioni per l’Amarone e 5,6 milioni di euro per il Recioto. Oggi le quotazioni per i terreni in Valpolicella sono stimate sui 500.000 euro/ettaro.
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