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Speciale Abruzzo: Entusiasmanti cambiamenti

9 Aprile 2011 Civiltà del bere
C'è da rimanere sorpresi di fronte ai grandi cambiamenti che hanno segnato la vitivinicoltura abruzzese negli ultimi 10 anni. Una sorta di rivoluzione se si osserva la geografia produttiva che si è andata delineando, sia dal punto di vista ampelografico sia per quanto concerne il sistema delle denominazioni. Modifiche attuate con una strategia intelligente e lungimirante che, se per certi versi è apparsa avviata in ritardo, per altri ha potuto strutturarsi adeguatamente e trovare un’ampia condivisione nel mondo produttivo. Insomma, si può ben dire che l’ Abruzzo del vino di oggi può perfettamente rappresentare quel mix vincente che tiene saldo il valore territoriale e guarda in maniera ingegnosa al mercato. [emember_protected] Un tempo erano le due Doc Montepulciano d’Abruzzo (nelle versioni rosso e Cerasuolo) e Trebbiano d’ Abruzzo: più volte fu definita una “fortunata anomalia” quella di concentrare risorse e investimenti per tre tipologie di vini in grado di arrivare sul mercato con una forte e riconoscibile identità regionale, importante massa critica, buona qualità complessiva a prezzi molto convenienti. Poi è cominciato il lento movimento che, partito nella provincia di Teramo, ha portato due novità nella piccola Doc Controguerra e nella sottozona Colline Teramane per il Montepulciano d’ Abruzzo, poi diventata Docg. Un segnale chiaro che ha evidenziato come stessero emergendo nuove esigenze e il desiderio di trovare strade alternative. Dopo circa trent’anni nei quali l’immagine dell’Abruzzo aveva fatto leva sulle due Doc per evolversi e per accrescere la propria notorietà di due vitigni e di un territorio nella sua interezza – dal Tronto al Trigno, dall’ Adriatico fin sotto la Majella e il Gran Sasso d’Italia – fino ad allora considerato in maniera piuttosto indifferenziata, si è avvertita da più parti la necessità di operare in due grandi direzioni: da un lato la riscoperta dei vitigni autoctoni scomparsi o abbandonati, la maggiore selezione dei cloni di Montepulciano e Trebbiano e l’adozione dei sistemi colturali più adatti e razionali; dall’altro lo studio della particolare espressione delle diverse zone della regione, fin lì non considerate nella loro naturale e persino ovvia diversità. «Che ad esempio il Montepulciano coltivato nell’alto Teramano mostrasse differenze espressive sostanziali rispetto a quello nel Vastese, o anche in microaree all’interno di una stessa provincia, è sempre stato piuttosto evidente», spiega Sebastiano Porello, presidente del Consorzio di tutela Vini d’ Abruzzo, «sebbene questo aspetto sia stato messo in secondo piano rispetto alla necessità e all’interesse diffuso di evidenziare maggiormente, nel periodo di rilancio della vitivinicoltura regionale, il territorio e il nome Abruzzo che fino a quel momento era piuttosto sconosciuto al grande pubblico». Un rilancio che, come accennato, è partito nella prima metà degli anni Novanta quando l’enologia abruzzese ha potuto contare su una rinnovata classe di produttori e di enologi e sull’importante supporto delle istituzioni – principalmente assessorato regionale all’ Agricoltura e Centro interno delle Camere di commercio per la parte promozionale e l’Agenzia per i servizi di sviluppo agricolo della Regione Abruzzo (Arssa) per gli aspetti tecnici e di ricerca – che ha dato i suoi frutti a cavallo tra la fine del decennio e i primi anni Duemila. È stato questo il momento nel quale i vini abruzzesi hanno finalmente dimostrato di essere qualitativamente all’altezza delle denominazioni più blasonate e, di conseguenza, hanno cominciato a ricevere premi e riconoscimenti di critica e di mercato che negli ultimi anni li hanno collocati sempre nelle primissime posizioni dei concorsi internazionali e delle classifiche dei vini più apprezzati e venduti, anche in virtù di una componente rivelatasi fondamentale in momenti di forte concorrenzialità, ossia il favorevole rapporto qualità-prezzo. Una crescita generalizzata, spontanea e piuttosto omogenea, che ha visto emergere molte aziende private insieme a un bel gruppo di cooperative, più intraprendenti e dinamiche. Una crescita che ha evidenziato, di li a poco, l’esigenza di disporre di una organizzazione comune in grado di ridisegnare la mappa produttiva. Un compito che è stato assunto dal Consorzio di tutela Vini d’ Abruzzo, che ha avuto il merito di aver coordinato questa seconda e rilevante fase portando a compimento in meno di 10 anni il nuovo assetto della vitivinicoltura regionale. Un ruolo determinante quello del Consorzio, che rappresenta circa l’80% della produzione Doc, ma anche un riferimento per gli altri due Consorzi, Colline Teramane e Tullum con 10 mila produttori-viticoltori (singoli e associati) e circa 100 vinificatori e imbottigliatori. «Un lavoro certosino, lungo e complesso», riprende il presidente del Consorzio tutela Vini d’ Abruzzo Porello, «in grado di contemperare i diversi interessi in gioco tra privati e cooperative e soprattutto di valorizzare le diverse zone produttive». Negli ultimi cinque anni sono arrivate le revisioni successive dei disciplinari più importanti che hanno riguardato non solo l’adeguamento dei parametri analitici e di resa ma anche l’inserimento di nuove tipologie e di zone specifiche: così per il Montepulciano d’ Abruzzo che dalla vendemmia 2006 ha anche la versione Riserva, prevista contemporaneamente anche per le prime sottozone Casauria e Terre dei Vestini (per la provincia di Pescara), e per le recenti Alto Tirino e Terre dei Peligni nell’Aquilano e Teate in provincia di Chieti; e così per l’auspicata separazione della versione “in rosa” con la creazione di un autonomo disciplinare per il Cerasuolo d’Abruzzo (anche nella versione Superiore); e ancora, per il Trebbiano d’Abruzzo con le sue nuove versioni Superiore e Riserva. Poi ecco dal 2008 la Doc Tullum o Colline Tollesi, la più piccola Doc italiana, che mira a valorizzare le produzioni dell’enclave storica di Tollo con diverse tipologie tra rossi e bianchi anche monovarietali e, dalla vendemmia 2010, la Doc Abruzzo. Proprio quest’ultima, dopo un iter lungo e laborioso, ha finalmente dato tutela e regolamentazione ai vitigni autoctoni recentemente tornati a nuova valorizzazione finora certificati solo come Igt: oltre a Rosso e Bianco, anche nelle versioni passito e spumante, la Doc Abruzzo infatti prevede tipologie monovarietali per Pecorino, Passerina, Cococciola, Montonico e Malvasia, tutti anche nella versione Superiore. E non basta, perché per la vendemmia 2011 dovrebbero essere ormai approvate anche le Doc Ortona e Villamagna, due aree produttive della provincia di Chieti. «Ora», conclude Porello, «ci aspetta il compito altrettanto complesso che riguarda il coordinamento delle denominazioni e soprattutto l’attività di promozione. Alla luce del nuovo decreto legislativo numero 61 del 2010 e con gli investimenti previsti dalla Regione Abruzzo avremo l’opportunità di sviluppare un piano per promuovere i nostri vini in Italia e all’estero, un’occasione unica e formidabile che sicuramente utilizzeremo al meglio e che darà un ulteriore slancio al vino e al territorio abruzzese». Qualche numero per dare l’idea Dal punto di vista viticolo l’ Abruzzo oggi conta poco meno di 33 mila ettari di superficie concentrati per la quasi totalità sulla collina litoranea e in particolare nella provincia di Chieti dove ricade circa il 75% del territorio vitato, seguita da Pescara con oltre il 12%, da Teramo con il 10% e da L’Aquila con meno del 3%. La forma di allevamento più diffusa è la pergola abruzzese (tendone) che copre circa l’80% dell’intera superficie, ma nei nuovi impianti e nei reimpianti prevalgono decisamente le forme di allevamento verticale (cordone speronato, cordone libero, ecc.) favorite anche dalle disposizioni relative ai finanziamenti comunitari e l’assegnazione dei diritti di nuovi impianti. Il vitigno più diffuso è il Montepulciano che con quasi 19 mila ettari copre oltre il 56% dell’intera superficie vitata regionale, poi ci sono i Trebbiani (toscano e abruzzese) con circa il 30%, mentre molto più distanziati arrivano in crescita i vitigni autoctoni, prevalentemente Pecorino e Passerina, e i classici vitigni nazionali e internazionali, quali Sangiovese, Chardonnay e Merlot. Di conseguenza la produzione si attesta mediamente ogni anno intorno a 3 milioni di ettolitri di vino, un milione dei quali rivendicato con la denominazione di origine, un dato triplicato negli ultimi venti anni. Il Montepulciano d’ Abruzzo con i suoi 860 mila ettolitri rappresenta la Doc più importante con circa l’80% del totale regionale con un trend in salita costante negli anni, mentre la Doc Trebbiano d’ Abruzzo risulta piuttosto stabile sui 200 mila ettolitri annui. Evidentemente più limitate sono le produzioni che registrano la Docg Montepulciano d’ Abruzzo Colline Teramane (circa 7 mila ettolitri), le nuove sottozone del Montepulciano d’ Abruzzo, Casauria (2.700), Terre dei Vestini (1.500), la Doc Controguerra (circa 2.600) e la nuovissima Doc Tullum (2.250). Molto interessanti sono anche i quantitativi Igt, che superano i 270 mila hl/anno (pari a oltre 2.600 ettari iscritti nel 2010) e che costituiscono un grande serbatoio di sperimentazione di nuovi vitigni e di nuovi vini. Tra questi spicca il crescente impegno per i vini passiti, che rappresentano una nuova frontiera per il vitigno Montepulciano e una riscoperta per Moscatello di Castiglione a Casauria, una varietà a bacca bianca che ha origini risalenti al Seicento in una ristretta zona di produzione, praticamente scomparso nel corso del Novecento e oggi tornato in produzione nella sua formula originale di vino da uve passite su pianta grazie all’impegno scientifico dell’Arssa e di alcune Case vinicole della zona.

Intervista a Mauro Febbo,  Assessore alle Politiche agricole e di sviluppo rurale, forestale, caccia e pesca: Montepulciano asset strategico

«La vitivinicoltura costituisce per la regione Abruzzo il principale settore del comparto agroalimentare con oltre il 20% della produzione lorda vendibile agricola regionale, per un valore alla produzione di circa 300 milioni di euro e il 6% di quella vinicola nazionale. Dunque rappresenta un asset strategico per l’economia dell’intera regione e un traino fondamentale per tutte le altre produzioni agricole di eccellenza». L’assessore all’Agricoltura della Regione Abruzzo Mauro Febbo non ha dubbi e con il suo abituale piglio, chiaro e deciso, spiega subito quali sono gli obiettivi di un settore che sta regalando grandi soddisfazioni in Italia e all’estero. «Nel 2010 l’ Abruzzo ha riportato un saldo del +15% sulle esportazioni di vino, quasi il doppio della media nazionale con un valore di oltre 100 milioni di euro», illustra l’assessore, «con un trend di salita ininterrotta negli ultimo decennio, il che significa un crescente apprezzamento dei nostri vini e una capacità di penetrazione delle nostre aziende, ma anche di scelte promozionali più mirate. A livello nazionale, i nostri vini sono nelle primissime posizioni nelle vendite nella Gdo, con quasi 12 milioni di bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo Doc vendute lo scorso anno». - Ora, alla luce dei tanti cambiamenti nel sistema delle denominazioni recentemente approvati, quali sono le strategie che l’Abruzzo metterà in campo? «Oggi le nostre Cantine sono competitive sia dal punto di vista tecnico, sia da quello organizzativo e commerciale e dunque è il momento di spingere sull’acceleratore per consolidare e ampliare l’immagine dei vini abruzzesi. Per illustrare e raccontare tutte le novità che l’ Abruzzo ha messo in campo per rispondere alle esigenze dei vari segmenti di mercato, grazie a un’offerta molto più ampia e variegata, soltanto rispetto a cinque anni fa, stiamo definendo un programma promozionale che verrà condiviso e attuato con i Consorzi di tutela e che vedrà in campo circa 4,5 milioni di euro di contributo pubblico nei prossimi tre anni attraverso la misura 133 del Piano di sviluppo rurale 2007-2013, ai quali va aggiunto il 30% di quota privata, un investimento che per entità e durata in Abruzzo non si era mai visto». [/emember_protected]

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