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Saper raccontare il territorio. Se ne è parlato a un convegno sul Müller Thurgau

12 Luglio 2011 Monica Sommacampagna
Raccontare il territorio in modo coinvolgente per far comprendere l’identità di un luogo a vocazione (anche) vitivinicola e stimolare l’assaggio, inteso come apprezzamento in senso più ampio. È stato il tema del convegno “Si fa presto a dire territorio” organizzato sabato scorso a Cembra nell’ambito della 24a Rassegna Vini Müller Thurgau. «Mai come oggi è fondamentale ripartire dalla trasparenza, dalla capacità cioè di raccontare l’identità di un territorio in modo molto chiaro, a partire da un concetto condiviso da tutta la filiera produttiva», ha introdotto Fabio Piccoli, giornalista e consulente di Trentodoc. “Raccontare”, però, non è un compito semplice e implica la conoscenza di alcuni principi base della psicologia. «Sul terroir metaforico, mentale, c’è ancora un percorso vergine e inesplorato da attraversare: quello che conduce al coinvolgimento vero, emozionale del pubblico», ha detto Piero Valdiserra, direttore marketing di Rinaldi Holding. «Oggi più che mai occorre investire tempo, impegno e competenza per saperlo raccontare in maniera divertente e appassionante, utilizzando anche diversi linguaggi narrativi». Qualche suggerimento è stato fornito da Attilio Scienza, presidente del corso di Viticoltura ed enologia all’Università di Milano, che ha innanzitutto invitato il pubblico a interrogarsi sul significato di parole inflazionate o in alcuni casi usate senza cognizione come “origine”, “tipicità”, “tradizione”. «Tre le strade: non omologare la produzione ma concentrare la comunicazione sulle caratteristiche più importanti di uve e vini prodotti in specifici territori, valorizzare la biodiversità e riavvicinare il mondo agricolo a quello della città rendendo il produttore divulgatore di una viticoltura sostenibile, amica dell’ambiente, non un mero custode del territorio», ha detto Scienza. Il convegno ha visto anche la partecipazione di Ignacio Orriols, direttore della Stazione di viticoltura ed enologia della Galizia, che ha raccontato come alla base del boom sui mercati esteri del vino bianco Albariño, che ha ottenuto la DO vent’anni fa, ci sia una forte compattezza della filiera sui valori storici, culturali e paesaggistici del territorio. Un’ulteriore case history è rappresentata dalla Valle d’Aosta, cresciuta a quota 3,1 milioni di bottiglie di vino Doc che costituisce il 90% del vino commercializzato. «Al momento però abbiamo problemi a comunicare nel modo giusto i nostri vini alla ristorazione valdostana», ha detto il viticoltore Vincent Grosjean, presidente dell’Associazione Viticulteurs Encaveurs. «Il punto è che dobbiamo condividere e trasmettere un concetto univoco di territorio, andando al di là degli aneddoti». Ulteriori testimonianze sono giunte dal produttore ligure specializzato in agricoltura biodinamica Stefano Bellotti e da Nicola Zanotelli, viticoltore della Valle di Cembra. Due voci diverse per difendere comunque la sostenibilità, il rispetto del territorio e l’esaltazione della sua vocazionalità agricola e vitivinicola.

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