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Quanto conta il marchio nella scelta del vino? In Cile molto, in Italia meno

26 Agosto 2020 Matteo Forlì
Quanto conta il marchio nella scelta del vino? In Cile molto, in Italia meno

Da uno studio di Wine Intelligence condotto su 25 mila persone in 26 Paesi del mondo emerge che in Cile e Nuova Zelanda si ricordano più marche che in Italia o Francia. Cosa concorre alla riconoscibilità e quali elementi indirizzano le scelte di consumo?

Cosa determina il ricordo di una marca di vino negli acquirenti? E, di conseguenza, quanto pesa la brand awareness nella scelta di un vino? A rispondere ci ha provato Wine Intelligence, agenzia inglese di ricerche di mercato, che ha intervistato in due anni qualcosa come 25 mila consumatori da 26 Paesi diversi. E messo in fila, nazione per nazione, il numero delle marche ricordate e di quelle abitualmente acquistate.

Sei i Paesi dove conta il marchio

Il risultato? Piuttosto difficile da abbinare alla sostanza. Ad esempio è saltato fuori un certo grado di concordanza tra un forte orientamento nazionale alla produzione e la capacità, da parte dei consumatori, di ricordare i brand. Evidentemente, in Paesi come Cile (con una media di ben 30,9 brand noti e oltre 8 diversi acquistati abitualmente), Portogallo, Spagna, Nuova Zelanda, Australia e Argentina (i primi sei in classifica) il vino occupa un ruolo primario nel tessuto economico e produttivo, ma anche nella definizione dell’identità culturale del luogo.

In Italia, Francia e Germania a contare è la denominazione

Questa teoria del genius loci si dimentica però di Italia (11,6 e 3), Francia (8,7 e 1,5) o Germania, territori tra i più vocati e produttivi al mondo, ma molto attardati in graduatoria. La ragione può chiamarsi Valpolicella, Bordeaux o Mosella. Come dire: qui più che della marca ci si ricorda delle denominazioni.

Nel Nuovo mondo sono determinanti le super-Cantine

Un altro modo di vederla è che nei Paesi del Nuovo mondo le denominazioni regionali non hanno un peso così determinante nelle scelte di consumo e sono invece i nomi dei produttori a essere riconosciuti come garanti della qualità del prodotto e ad avere un peso specifico diverso nei confronti dei retailer.

Le eccezioni di Spagna e Portogallo

Ma ecco un’altra contraddizione sul fondo del bicchiere: cosa ci fanno Spagna e Portogallo, indiscutibilmente realtà del Vecchio mondo e pure a forte connotazione regionale (Rioja, Alentejo, Ribera del Duero, Valle del Douro…) ai primi posti della classifica? Giustificare la risposta con l’esistenza di super-Cantine come Torres, un brand ombrello declinato in diverse specifiche regionali che ha acquisito un grosso peso nella supply chain, non basta: lo stesso si potrebbe dire di Antinori in Italia o Castel in Francia, nomi con un catalogo altrettanto trasversale e spalmato su più zone viticole.

Molti i fattori che indirizzano le scelte di consumo

Se c’è una cosa che non ammette discordanza è il fatto che costruire identità di marca nel mondo del vino è impresa tutt’altro che semplice. Nella memorabilità, nel livello di fidelizzazione e in ultima analisi nelle scelte di consumo entrano in gioco fattori eterogenei: emozionali, esperienziali, storici, culturali.

L’opinione degli esperti: comunicazione e distinguibilità sono cruciali

Su “La Terza pagina” di Civiltà del bere hanno detto la loro tre personaggi d’eccezione del settore. «La creazione del valore parte dal vino ma abbraccia tutto ciò che si fa in azienda: dal packaging, al rapporto con il pubblico, fino alla qualità della nostra informazione», sottolinea Giovanni Geddes da Filicaja (amministratore delegato di Frescobaldi, Masseto e Ornellaia) con «la comunicazione che riveste un ruolo cruciale». Per Piero Mastroberardino (produttore e ordinario di Economia e gestione delle imprese all’Università di Foggia) occorre «distinguersi “nell’oceano rosso”, ovvero quegli spazi competitivi ad elevata congestione di offerte similari, mantenendo attorno al marchio un’immagine che sia percepita come distintiva attraverso creatività e vis imprenditiva».

Per l’economista, bisogna stabilire una connessione col consumatore

Per arrivare al punto Mike Veseth (economista, autore della newsletter “The Wine Economist”) inverte i fattori: «La particolarità dei marchi del vino senza successo è che non sembrano stabilire una connessione umana», ergo «l’affermazione non riguarda davvero il prodotto in sé, ma le persone che lo acquistano e lo bevono» e dunque la capacità di entrare in risonanza con loro.

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