Paolo Basso, miglior sommelier del mondo 2013 per l’Asi, l’Association de la sommellerie internationale che in Italia è rappresentata dall’Aspi, fa il punto sugli abbinamenti gastronomici da evitare quando si vuole valorizzare l’eccellenza di un calice.
Tema sensibile per gli appassionati di enogastronomia, l’abbinamento cibo-vino è un argomento di discussione che a volte si conclude con… rassegnazione.
È sempre più frequente, infatti, vedere la qualità dei vini ridimensionata e a volte svilita da accostamenti gastronomici discutibili, quando non stravaganti e bizzarri.
In realtà non si tratta nemmeno di abbinamenti, ma semplicemente di due prodotti che si sono trovati più o meno casualmente a dover esser consumati nello stesso momento e che magari presi singolarmente sono anche eccellenti. Tuttavia le esigenze degli amanti della buona tavola sono a 360° e non si accontentano di un solo ingrediente d’eccellenza durante quella che potremmo definire l’esperienza gastronomica nella sua globalità. Tutto deve combinarsi con armonia alla ricerca del miglior risultato.
Le basi, l’esperienza, il fine
Tutto sommato, realizzare un abbinamento vincente non è poi così difficile; le regole sono chiare e chiunque abbia fatto un corso di base sulla conoscenza dei vini dovrebbe conoscerle. A questo si può aggiungere l’esperienza personale che deve tener conto di alcuni parametri importanti. Il primo è che nella maggior parte dei casi gli abbinamenti non si realizzano per se stessi ma per far piacere a qualcun altro, che siano ospiti a casa o clienti al ristorante. Ma con il proprio stile.
Per chi mette al centro il vino
Poi, focalizzare l’obbiettivo: si deve riservare la ribalta al piatto o al vino? Se per molti la priorità è il cibo, per tutti i wine lover e soprattutto per i produttori, l’obbiettivo sarà quello di valorizzare il vino. Mettiamoci nei panni di chi ha speso una cifra magari ragguardevole per una bella bottiglia o dell’operatore che deve presentare al pubblico o alla stampa una nuova referenza o una nuova annata. È chiaro che in questo caso la priorità dovrà essere data al vino. Il cibo dovrà svolgere un ruolo discreto, anche se essenziale, di supporto.
Semplicità e qualità della materia prima
Dal punto di vista pratico, mettere a segno un abbinamento riuscito è sostanzialmente facile: servono dei piatti relativamente semplici con ingredienti di elevata qualità ma poco elaborati. Ed è qui che nasce il problema. In quest’epoca di ridondanti show cooking, chi cucina è orientato a cercare di stupire, di sorprendere, concentrandosi sull’aggiunta di stimoli gustativi che sbalordiscano il commensale. Il paradosso è che spesso quest’ultimo rimane solo sconcertato e deluso, perdendo così di vista il fine stesso del donare piacere con il cibo.
Per scongiurare questa deriva che sminuisce il vino, basterebbe evitare quegli ingredienti che vanno in conflitto con gli elementi gustativi presenti nel vino stesso. Li potremmo definire ingredienti wine killers. Non è complicato: si tratta di tutto quello che porta al palato acido, amaro e dolce (in caso di pairing con vini secchi).
Ridurre al minimo cibi acidi e amari
Bisogna quindi tenersi alla larga dai cibi che portano acidità e che appiattiscono il vino come agrumi e tutto quello che ne deriva, frutti di bosco e frutta varia, molto utili per la cromaticità del piatto ma distruttivi per i vini secchi in generale. Ovviamente anche l’aceto balsamico e gli altri aceti utilizzati per marinare sono da limitare.
Poi tutto quello che veicola amaro, astringenza o sensazioni “terrose” e che crea nei vini – soprattutto i rossi nei quali si cerca di avere tannini maturi e morbidi – delle sensazioni sgradevoli. Un po’ come se nel calice ci fosse un prodotto realizzato a partire da uve che non hanno raggiunto la maturità. Si pensi a cavolfiori, cavolini di Bruxelles, barbabietole, carciofi, noci, ecc. Questi elementi, infatti, creano o accentuano le sensazioni amarognole e “dure” nel bicchiere.
Modulare gli ingredienti a tendenza dolce
Attenzione anche a tutti quegli ingredienti a cui spesso non si pensa e che determinano sensazioni dolci con diverse intensità che “svuotano” la struttura gustativa dei vini. È quella che i francesi in gergo tecnico chiamano il “milieu de bouche”, che rende il vino fluido, magro e senza gusto. A questa categoria appartendono cibi come carote, castagne, zucca, piselli, di nuovo barbabietole ed ancora frutta in generale. Va poi evitato tutto quello che in un certo senso priva il palato delle sue capacità di percezione come il freddo (ad es. il sorbetto) il caldo (come nel caso delle zuppe) e il piccante (spezie varie, wasabi, ecc).
E per tenere a mente le priorità, rispettando in ogni caso la locuzione latina de gustibus non est disputandum che ogni sommelier di mentalità aperta ha nel suo bagaglio professionale, non dimentichiamo che per fare un buon vino ci vogliono tre anni, mentre per fare un piatto eccellente non più di tre ore.
Foto di apertura: castagne e zucca sono wine killers perché apportano sensazioni dolci che uccidono il vino © U. Leone – Pixabay