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Pojer: più genio che sregolatezza

15 Dicembre 2009 Roger Sesto
Ascoltare Mario Pojer è gratificante. «Quante emozioni ti dà l’assaggio di vecchie bottiglie. Vinifico da 35 vendemmie e fin dall’inizio l’obiettivo è stato quello di trasformare l’uva in un vino che potesse dare soddisfazione subito e che invecchiasse per decenni senza decadere. Per i rossi non ho fatto altro che applicare gli aspetti più nobili della tradizione: diraspatura, nessuna pigiatura né utilizzo di pompe, spostamento degli acini interi per gravità, fermentazione in tini di legno aperti da 20 quintali, follature manuali, torchio in legno caricato a mano, sosta in barili per un anno, ulteriore affinamento in inox con stabilizzazione a freddo sfruttando le basse temperature invernali. Negli ultimi anni ho introdotto delle novità. Da qualche tempo utilizzo una mia speciale lava-uva, con l’intento di asportare le impurità dagli acini. Poi inoculo i lieviti indigeni che possono così agire in condizioni ottimali, trasmettendo al vino il carattere del territorio». Incuriositi chiediamo cosa faccia per i bianchi. «Dal 1995 ho cominciato le prime prove di vinificazione in riduzione. I risultati sembrano interessanti: i vini aromatici quali il Müller Thurgau, il Sauvignon e il Traminer acquistano bouquet e in longevità. Dal 2000 le uve bianche le lavoro con questa tecnica: il mosto che esce dalla pressa ha un colore verde e un profumo molto fruttato. Ma una svolta decisiva è del 2002: mi sono attrezzato con due generatori di azoto e un serbatoio di accumulo gas; incappucciando la parte della pressa dove fuoriesce il mosto, quando la pressa richiama aria dall’esterno quest’ultimo viene sostituito dall’azoto. Fino all’ultima pressata il mosto rimane verde come un kiwi e il profumo ricorda la frutta tropicale. Gli altri passi decisivi sono stati l’impiego di tecniche meno costose ma efficaci, potendo assistere a un sostanziale incremento qualitativo: vini più aromatici, fragranti, sapidi e soprattutto non amari, con la possibilità anche di ridurre al minimo l’impiego di solforosa. Con le ultime due vendemmie, 2008 e 2009, abbiamo poi lavorato a un nuovo progetto riguardante il carico delle presse, punto assai critico nel percorso della non ossidazione. Ora ci aspettano due nuove sfide: produrre un Riesling a bassa gradazione, da uve di alta montagna, e un vino “impatto zero”». Dopo una tale prolusione, ridurre tutto a un resoconto di annate storiche è quasi sminuente, ma consigliamo di assaggiare il Rosso Faye (taglio bordolese più un saldo di Lagrein) 1990, 1993, 2003 e 2005, e il Palai (Müller Thurgau) 1984, 1999, 2001 e 2006.

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