Per legge (canonica) il vino usato nelle liturgie cristiane deve essere prodotto solo con uva (in teoria anche da tavola) e privo di difetti. Bando invece alle aggiunte in cantina: solforosa sì, ma poca, lieviti selezionati no. Altri culti che lo utilizzano.
“Naturale, figlio della vite e non corrotto”: è questa la definizione del vino da Messa.
Esso discende dalla tradizione ebraica del vino kasher, impiegato nelle cerimonie religiose, in particolare della Pasqua, dove è rosso e purissimo. Cristo nell’Ultima Cena ha trasmesso questa tradizione alla religione cristiana. A quei tempi le uve erano prevalentemente nere e quindi il vino bianco non faceva parte della tradizione.
Prima rosso ora bianco
Si stima che il fabbisogno annuale del vino da Messa sia di 10 milioni di litri, senza contare i consumi del vino kasher dei riti ebraici. Non si dimentichi che il vino da Messa viene utilizzato in tutto il mondo dai cattolici, dagli ortodossi, dai protestanti, ecc. Ancora oggi esiste una forte correlazione fra il consumo del vino e la diffusione mondiale del cristianesimo.
La definizione di vino da Messa, secondo il Canone 924 del Codice di diritto canonico, derivante da una decisione del Concilio di Firenze del 1439, confermata da Giovanni Paolo II nel 1983, è la seguente: “Vinum debet esse naturale, de genimine vitis et non corruptum”.
Il colore del vino non entra nelle regole in quanto è stato rosso sino al Concilio di Trento (seconda metà del 1500), che ammise anche il bianco, utilizzato oggi. Più interessante è approfondire i parametri della definizione suddetta del vino da Messa.
Spieghiamo la definizione
Per “naturale” si intende il vino che deriva solo dall’uva, senza aggiunta, in campo o in cantina, di qualsiasi composto estraneo all’uva. Ad esempio i vini arricchiti con zucchero di barbabietola del Nord Europa e gli spumanti di tutto il mondo elaborati con lo zucchero di canna, non sono idonei per la celebrazione e la Messa non è valida.
“De genimine vitis” significa che il vino deve essere il prodotto della fermentazione del mosto dell’uva delle varietà di vitis vinifera. Ma all’epoca di Cristo non si conoscevano ancora le specie americane (alcune non appartenenti al genere vitis) e dell’Oriente asiatico. L’uva da tavola è legalmente esclusa dalle uve da vino, eppure può fornire vino da Messa perché del genere vitis.
“Non corruptum” vuol dire che il vino non è idoneo per la Messa se colpito da batteri – che causano, ad esempio, acescenza, girato (fermentazione tartarica) o filante (grassume) – oppure da funghi, alcuni dei quali diagnosticati recentemente (ad esempio, Brettanomyces).
Quel che si può e non si può fare
Spesso il vino da Messa nelle canoniche dura a lungo, stappato e conservato fuori frigorifero. Nelle zone tropicali la corruzione dei vini da Messa è comune; per la loro conservazione si deve ricorrere all’aggiunta di alcol o di grappa, ammessi purché di origine vinica, ossia di uva di vitis. Molte aggiunte o correzioni di cantina (come chiarificanti, tannini non presenti nell’uva, aromi di sintesi estranei, ecc.) rendono il vino inidoneo alla celebrazione della Messa. L’aggiunta di piccole dosi di solforosa è permessa in quanto viene prodotta anche dai lieviti naturali; l’uso dei lieviti selezionati, composti da pochissimi cloni e di origine estranea all’uva, a nostro avviso non sarebbe in sintonia con la suddetta definizione ufficiale.
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Scelto sotto la responsabilità del vescovo
Il vino da Messa deve contemplare e rispettare contemporaneamente tutte e tre le caratteristiche canoniche e, se una sola non corrisponde alla definizione, esso non è idoneo per il rito cristiano.
È scelto sotto la responsabilità del vescovo della diocesi e si basa sulla fiducia nei confronti di produttori credenti, ma i sacerdoti in casi eccezionali (ad esempio nelle zone di montagna) giungono a impiegare nella celebrazione anche vini del mercato. Il “vino puro che offre la Chiesa” è un baluardo della naturalità per tutti quelli che vengono prodotti e dobbiamo assolutamente difenderlo.
Un mondo di fede
Le due religioni storiche monoteiste che hanno dapprima usato il vino, sono quella ebraica (con il vino kasher utilizzato nelle cerimonie prodotto secondo un antico disciplinare applicato da un religioso enologo) e quella cristiana, fondata da Cristo nell’Ultima Cena, dalla quale discende il vino da Messa.
Bisogna considerare che nei cinque continenti esistono religioni che usano il vino per le loro celebrazioni. Non è facile stimare l’ordine di importanza della diffusione, ma potrebbe essere la seguente: Europa, America (Latina e settentrionale), Africa, Oceania e Asia.
Il numero di questi credenti si può valutare come di seguito: cattolici (1,285 miliardi), cristiani ortodossi (250 milioni), ebrei (14,5 milioni), protestanti (700 milioni), di cui evangelici pentecostali (600 milioni), battisti (100 milioni), anglicani (70 milioni, sparsi, oltre che in Gran Bretagna, in tutti i Paesi del Commonwealth, quali Usa, Canada, Australia, Nuova Zelanda e in piccola parte in India) e metodisti (70 milioni), testimoni di Geova (21 milioni), mormoni (15 milioni), ecc.