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Il Moscato d’Asti secondo Matteo Soria

27 Giugno 2016 Jessica Bordoni
Dici Castiglione Tinella e pensi Moscato d’Asti. Siamo ai confini della provincia di Cuneo, dove le ultime colline di Langa si affacciano sul Monferrato. Il comune è uno dei più vitati d’Italia, con il 92% della superficie agricola destinata a vigneto, 350 abitanti e ben 15 aziende vinicole in attività. Nella frazione San Martino vive e lavora Matteo Soria, terza generazione di una famiglia impegnata nella produzione di Moscato dalla fine dell’Ottocento.

Matteo Soria: un’azienda consacrata al Moscato

Classe 1986, Matteo si diploma alla Scuola enologica di Alba nel 2006. «Dopo gli studi», racconta, «i miei genitori hanno deciso di intestarmi l’azienda, che è passata da mio nonno a me. Al mio fianco c’è mia moglie Eleonora Brangero, che mi aiuta sia in vigna e in cantina, sia nella gestione amministrativa. L’impegno è tanto, si lavora 365 giorni l’anno, ma per noi il Moscato è una missione. Facciamo solo un’etichetta e cerchiamo di farla al meglio».

In tutto 40 ettari di collina

La proprietà si estende per 40 ettari di vigneto, che si diramano in tutte le direzioni attorno alla sede aziendale. Negli anni sono stati selezionati e impiantati i cloni migliori, per un’uva concentrata, ricca di acidità e aromi. «I terreni sono collinari, la chiamiamo “terra bianca” perché il suolo è tendenzialmente sabbioso.

L’importanza dell’export e delle ultime tecnologie

La produzione si aggira intorno alle 400 mila bottiglie, per l’80% destinate all’export. «Il Moscato è una varietà delicata, c’è il rischio di muffe ed è importante monitorare attentamente lo stato di salute delle uve. In cantina ci siamo dotati di macchinari per la spumantizzazione di ultima generazione e tutti gli anni destiniamo una parte del ricavato nell’acquisto di nuove tecnologie. Stare al passo è fondamentale per garantire la massima qualità al cliente finale».

Fermentazioni a cadenza settimanale per garantire la freschezza

L’uva viene raccolta a mano e, una volta in cantina è sottoposta a pressatura soffice. Il primo mosto viene illimpidito e stoccato in vasche d’acciaio alla temperatura di -3 ºC per impedire l’avvio di fermentazioni spontanee. «Ogni settimana trasferiamo una piccola quantità di mosto al reparto fermentazione dove, innalzando la temperatura e inculcando lieviti selezionati, prende avvio il processo fermentativo. Trasformiamo circa 100 ettolitri di mosto in vino ogni settimana, così da avere un prodotto il più fresco possibile».

La sterilizzazione microbiologica

Alla fermentazione seguono la stabilizzazione a freddo e l’imbottigliamento. «Prima di essere messo in bottiglia, il vino passa attraverso una serie di membrane che eliminano le ultime cellule di lievito. Così facendo otteniamo un vino microbiologicamente sterile. Si tratta di una tecnica molto costosa, ma indispensabile per chi come noi vuole tenere basso il livello dei solfiti e fare un Moscato genuino, salubre, oltre che buono».

Entro il 2017 la nuova Cantina

E per il futuro, quali gli obiettivi? «Attualmente siamo impegnati nella ristrutturazione e nell’ampliamento della Cantina, che dovrebbe essere pronta entro l’anno prossimo. Vogliamo aprirla per le visite al pubblico con possibilità di degustazione e vendita diretta». Un brindisi di Moscato d’Asti non si nega a nessuno.

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