Il colore è legato alla varietà di fiore da cui l’ape prende il nettare. Accanto ai soliti noti, come il miele di castagno, di acacia e di tarassaco, si possono assaporare rarità come quello di santoreggia, di clementine e di nespole. Gli chef lo usano nei loro dolci creativi, ma anche per insaporire carni importanti.
Parlare di miele con api e fiori è parlare tanto di magia della vita che di salute dell’ambiente come del meccanismo perfetto con cui viene prodotto. Gli echi, lontani nel tempo, profumano di sacro: per la mitologia greca nettare e ambrosia sono il cibo degli dèi. Per gli antichi il miele è rugiada celeste che le api attingono tanto dai fiori che dagli strati superiori dell’aria.
Nettare, polline e miele
La magia scocca allorquando dagli alveari, quelle immense società, le api mellifere partono alla volta dei fiori alla ricerca di nettare e polline. Il nettare serve soprattutto a fabbricare il miele, rigurgitato da un’operaia all’altra attraverso scambi boccali. Verrà lavorato dalle api e trasferito nei favi dell’alveare, quindi estratto dall’apicoltore.
Tutti i colori del miele
Di consistenza densa, fluida o cristallizzata. Di un colore che, parimenti, varia dal tipo di fiore da cui proviene il nettare. Scuro è il miele di abete, castagno e fiordaliso. Ambrato quello di acacia, erica e lavanda. Chiaro è d’arancio, corbezzolo, tarassaco. Bianco è quello di colza, rododendro, rosmarino e sulla. L’eccellente varietà dei mieli italiani monoflora, prodotti cioè dal nettare di un’unica varietà di piante, ha avuto un cantore appassionato e illuminato in Andrea Paternoster, compianto imprenditore trentino recentemente scomparso. Tre le rarità, il miele di solidago, ailanto, clementine, cardo, asfodelo e nespolo. O quello di santoreggia che gustiamo tra quelli prodotti a Tornareccio (Chieti), la “città del miele” abruzzese da dove giunge il 10% dell’intera produzione italiana.
L’apicoltura nomade di Dada Miele
Edoardo Bianchi e Daniele Scala sono i titolari dell’azienda apistica Dada Miele nel Monferrato e praticano l’apicoltura nomade. Spostano di persona le arnie per trovare le fioriture migliori. «Si comincia dalle pianure», ci illustra Edoardo, «dove le api svernano e dove raccogliamo il miele di tarassaco. Quindi, dopo aver verificato a che punto è la fioritura, ci dirigiamo in montagna, in Valle Orco e nelle Valli di Lanzo, nell’alto Canavese. Alle 3 di mattina carichiamo gli alveari (in tutto 500) sui pick-up. Cento di loro sono destinati alla produzione di miele di tiglio, cento al castagno; gli altri a quello del fiore delle Alpi e di rododendro. Dopo una-due settimane lo raccogliamo. Quindi cristallizza, viene spezzato e tagliato molto lentamente con un procedimento che dura due giorni e due notti. Diventa cremoso, pronto per essere messso nei vasetti, senza però pastorizzarlo perdendo così molte delle sue proprietà. Ne produciamo circa 100 quintali l’anno».

Ingrediente molto amato dagli chef
In cucina il miele è ingrediente di stimolante versatilità. Addolcisce bevande, è nella salsa avije (delle api) che accompagna il bollito alla piemontese. Con la sua consistenza avvolgente esalta la pernice arrosto glassata al miele e aceto balsamico dello chef stellato Claudio Sadler, la cui complessità di note e sensazioni gustative ritroviamo nel Prile, Maremma Toscana Doc del Castello di Volpaia, con bouquet elegante e sfumature balsamiche. Golosi gli abbinamenti con la frutta secca. Essenziale il suo ruolo in dolci regionali come mostaccioli, pitte ‘mpigliate e struffoli. Tra i dessert stellati da ricordare, “Borderline” di Alessandro Gilmozzi di El Molin a Cavalese (Trento). Il gelato alla resina di cirmolo è accostato alla radice di topinambur selvatico e al miele di melo dal sapore di muschio. E ancora “Mela, mela, mela” di Riccardo Gaspari del San Brite di Cortina (Belluno) con miele di tiglio e melata di abete. Intriganti sfumature dolci che riecheggiano nel morbido e avvolgente Terminum, Gewürztraminer Vendemmia tardiva di Cantina Tramin.