Un progetto nato dalla sinergia tra pubblico e privato
Ma il progetto merita di essere conosciuto anche perché è uno dei pochi esempi ben riusciti di collaborazione tra pubblico e privato. A promuoverlo è stato infatti un centro di ricerche enologiche privato che ha sede a Fubine, l’Enosis, nella persona dell’enologo Donato Lanati, che del corso post-diploma è il direttore, e del suo team, coordinato dalla biologa ed enologa Dora Marchi, in sintonia con due scuole pubbliche del Monferrato, l’Istituto superiore statale Leardi di Casale e l’Istituto tecnico agrario Luparia di Rosignano, nelle persone della professoressa Nicoletta Berrone, che le dirige, e del docente di Azienda agraria, professor Ferruccio Battaglia, che è anche tutor scolastico.Tra l'enologo e il cantiniere c'è il Mastro di cantina
Scopo del corso, hanno spiegato tutti e quattro, è la formazione di una figura inedita per l’Italia, ma che esiste già in altri Paesi: in Francia, per esempio, è impersonata dallo chef de cave, un personaggio che gode di grande prestigio perché, pur svolgendo un compito intermedio tra l’enologo e il cantiniere, non ha un ruolo subalterno ma direttivo, e con l’enologo intrattiene un rapporto dialettico perché è lui che fa il vino concretamente, e lo fa con l’obiettivo di valorizzare le tipicità vitivinicole del suo territorio, con il quale ha un fortissimo legame.La rivincita degli enotecnici
Ma era proprio necessario inventare questo corso? Anche se non ha ricevuto una formazione specifica per tutti i compiti del Mastro di cantina, non potrebbe essere l’enotecnico a svolgere questo ruolo? È verissimo, e infatti sono stati quasi sempre gli enotecnici, finora, a dirigere le Cantine italiane. Ma l’ultima generazione esistente di enotecnici sta scomparendo. La loro professione non risulta sia stata abolita, ma nessuno la vuol più fare. Di enotecnici ce n’erano tanti fino ai primi anni Novanta perché fare il vino competeva a loro, in Italia. Ma nel 1991 fu istituita per legge la figura dell’enologo, che prima non esisteva, e per esercitare quella professione era necessario un titolo universitario, che aveva valore europeo. Loro la laurea non l’avevano, però la legge riconobbe che il titolo lo meritavano ugualmente, purché avessero fatto davvero il vino per almeno tre anni.Una professione che rischia di scomparire
Diventarono perciò tutti enologi per diritto d’esperienza. Molti hanno continuato a svolgere la loro attività come prima, ma altri, e soprattutto gli enologi di nuova generazione, sono diventati dei protagonisti, anzi, hanno strappato la ribalta ai produttori: percepiti come gli autentici autori dei vini sono stati idolatrati come enostar. E in una società dello spettacolo come quella odierna, la prospettiva di poter diventare famosi senza doversi impegnare più di tanto, visto che per diventare enologi è sufficiente la cosiddetta laurea breve, ha affascinato tutti i giovani che ambivano a entrare nel mondo del vino: nessuno ha più voluto fermarsi a metà strada e diventare enotecnico, considerandolo un enologo di serie B.Nuove possibilità di lavoro
La figura del Mastro di cantina ha l’appeal necessario per attrarre questi giovani o il tasso di spettacolarizzazione di questo ruolo è insufficiente per spingerli a frequentare il corso? Di certo c’è l’interesse delle aziende a riempire il vuoto lasciato dalla scomparsa degli enotecnici: interesse testimoniato dal fatto che molte Cantine si sono già offerte di ospitare gli allievi quando le lezioni si svolgeranno dal vivo per seguire tutte le operazioni di vinificazione. E la concreta prospettiva di poter trovare lavoro che questo interesse lascia intuire potrebbe fare la differenza.Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 3/2017. Per leggere la rivista acquistala sul nostro store (anche in formato digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com