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L’Etna va alla scalata della Docg

1 Gennaio 2024 Matteo Forlì
L’Etna va alla scalata della Docg
Vigna Vico di Tenute Bosco risale a fine 800, in parte a piede franco e prefillossera - © Tenute Bosco

Al via l’iter per il riconoscimento per raggiungere il massimo livello di certificazione. Più valore alle Contrade, il nome dei Comuni in etichetta e nuove norme sulla tipologia spumante: la strategia per aumentare qualità e riconoscibilità territoriale dei vini del Vulcano

Nuove bollicine, un aumento del numero delle Contrade da recitare in etichetta e una restrizione delle rese per ettaro per «aumentare ulteriormente il livello qualitativo dei nostri vini e fornire ai consumatori elementi che rendono la nostra produzione ancor più distintiva». La denominazione Etna ha votato per il suo futuro: la delibera unanime dei soci del Consorzio di tutela traccia l’avvio dell’iter di passaggio dalla Doc – nata nel 1968, la più antica in Sicilia e una delle prime in Italia – alla Docg.
Il processo di riconoscimento della Denominazione di origine controllata e garantita prevede diverse fasi di richiesta e revisione, e un iter complessivo della durata prevista di due anni. Che infine porterebbe l’Etna a diventare la seconda Docg in Sicilia dopo il Cerasuolo di Vittoria.

Crescita imponente negli ultimi 10 anni

Oltre all’anzianità della denominazione (almeno sette anni è il requisito, ampiamente soddisfatto) uno dei principi della Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino, in vigore dal 2017, stabilisce che i vini delle Doc che ambiscono a diventare Docg debbano aver acquisito nel corso del tempo una certa importanza e fama commerciale a livello mondiale e uno standard qualitativo elevato.
Negli ultimi dieci anni, la domanda di vino Etna Doc ha fatto segnare una crescita costante, nei volumi e nella percezione sui mercati. Fatta salva una lieve contrazione in un 2020 segnato dall’emergenza Covid-19, la produzione è passata da 1,5 milioni di bottiglie del 2013, pari a 11.565,80 ettolitri, su circa 680 ettari di vigneto rivendicato, alle 5.820.145 bottiglie attuali (vale a dire 43.651,09 di ettolitri, con un incremento del 28,88% rispetto all’anno precedente). Oggi i produttori sono 442 e gli ettari abbracciati dalla denominazione si sono allargati a 1290,82. Il valore medio per ettaro delle superfici vitate in area Doc ha superato i 120 mila euro a fronte di una media in Sicilia di 30 mila. Il canale privilegiato è l’Horeca, mentre l’export vale circa il 60% con gli Usa che restano il primo mercato internazionale.

Limite agli ettari rivendicati

La strategia di sviluppo del Consorzio nei prossimi anni è quella di regolamentare la crescita su standard di qualità più elevati, mettendo un freno alle rivendicazioni di nuove superfici di vigneti dell’Etna Doc. Al contempo continuerà il progetto in convezione con le Università di Catania e Palermo per far emergere le differenze fra i singoli territori e all’interno delle stesse Contrade. L’obiettivo è alzare ulteriormente il pregio della produzione vinicola della “Muntagna”, come battezzano il vulcano da queste parti, una regione a sé stante dal punto di vista vitivinicolo rispetto al resto della Sicilia. Dove la grande eterogeneità dei suoli microclimi, che variano a seconda del versante, contribuisce a scolpire l’eccellenza e l’unicità dei suoi vini.

Etna Docg
Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna Doc

Nuove contrade e nomi del Comuni in etichetta

Nella direzione di aumento della tipicità e della qualità vanno le modifiche al disciplinare di produzione per il passaggio alla Docg. Il numero delle Contrade – attualmente 133 parcelle che punteggiano i vari versanti dell’Etna riconosciute a partire dal 2011 e legalmente equiparate a Unità geografiche aggiuntive (Uga) – aumenterà a seguito della richiesta di produttori presenti in aree ancora non delimitate. Non solo: sarà possibile indicare come Unità geografica aggiuntiva il nome di uno dei venti comuni che compongono la Denominazione (Aci S. Antonio, Acireale, Biancavilla, Belpasso, Castiglione, Giarre, Linguaglossa, Mascali, Milo, Nicolosi, Paternò, Piedimonte, Pedara, Randazzo, S. Alfio, S. Maria di Licodia, S. Venerina, Trecastagni, Viagrande e Zafferana in provincia di Catania) se le uve provengono interamente da quel territorio.

Bollicine anche da Carricante e Pas Dosé

L’attuale disciplinare di produzione prevede le tipologie Etna bianco, Etna bianco superiore, Etna rosato, Etna rosso, Etna rosso Riserva, Etna spumante bianco ed Etna spumante rosato o rosé. Proprio la tipologia spumante sarà quella più interessata dalle novità della Docg. Si avrà la possibilità di utilizzare la varietà Carricante, oltre a quella già presente, ovvero il Nerello Mascalese. Verrà inoltre concessa facoltà di produrre la versione Pas Dosé (gli spumanti prodotti con Metodo Classico che contengono il minor residuo di zuccheri).
Altra novità riguarderà la resa della tipologia Etna rosso con Unità geografica aggiuntiva che verrà diminuita. Sdoganata infine anche la possibilità di utilizzare i tappi a vite in tutte le tipologie di Etna, compresi il bianco Superiore e il rosso Riserva.

Alzare l’asticella di qualità e tipicità

«Le modifiche che apporteremo al nuovo disciplinare», è il commento di Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna Doc, «ci consentiranno di aumentare ulteriormente il livello qualitativo dei vini e di fornire ai consumatori elementi che rendono la produzione ancor più distintiva».
«Il desiderio, da parte di tutti i produttori della nostra denominazione», ha aggiunto Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio, «è quello che venga definitivamente legittimato, anche attraverso il raggiungimento del più alto livello della piramide del sistema delle certificazioni di denominazione, il grande lavoro sin qui svolto e il prestigio che il mercato ha riconosciuto ai nostri vini».  
L’iter per il riconoscimento della Docg prevede ora alcune tappe da seguire. «Presenteremo la richiesta alla Regione Siciliana. In seguito, entrerà in gioco il Comitato nazionale vini Dop e Igp, organo del Ministero dell’agricoltura. Difficile fare previsioni certe, ma pensiamo che tutto il percorso potrebbe durare anche meno di due anni».

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