La produzione di Amarone è passata da 9 a 12 milioni di bottiglie nel giro di due sole annate (2006-2007). Di contro il fatturato anziché crescere ha registrato un andamento opposto: «a fronte di un + 33% sui volumi, l’asticella del valore ha perso il 16%, con una flessione da 81 milioni di euro a 68 milioni di euro», ha dichiarato ieri nel corso di una conferenza a Milano Sandro Boscanini, presidente delle Famiglie dell’Amarone d’Arte, associazione che riunisce dodici storici produttori (Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi Agricola, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant'Antonio, Tommasi, Venturini, Zenato).
E crolla pure il prezzo delle uve, passato da 4 euro il chilogrammo nel 2007 a 1,50 di quest’anno, mentre i costi di produzione hanno registrato un trend opposto. Insomma cui prodest? Nemmeno agli agricoltori conviene.
La Famiglie dell’Amarone lo hanno scritto persino in un Manifesto: l’unica strada è quella dell’eccellenza, la quale si persegue con sacrificio e pazienza. Il gioiello dell’enologia veneta sembra, infatti, che oggi più che altro una vittima del suo repentino successo, che ha portato i viticoltori della Valpolicella a destinare all’appassimento, per l’Amarone, una quantità eccessiva di uve, provenienti anche dalle zone meno vocate. Un “annacquamento” improvvido che dev’essere prontamente drenato, per tutelare l’immagine (e il valore) dell’Amarone, ma contemporaneamente anche per lasciare spazio agli altri vini del mix di proposte che ha fatto la fortuna della zona: come il Valpolicella normale, molto amato dai consumatori per la sua immediatezza, che rischia l’estinzione per mancanza... di uve, tutte lì ad appassire nella speranza di diventareAmarone, il quale rischia il crac finanziario, con prezzi da Valpolicella “ordinario” e costi produttivi molto superiori. Inoltre, dato che la moneta cattiva caccia quella buona, anche il Grande Amarone, quello serio, si gioca la faccia.