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La guerra dei dazi di Trump: il mondo del vino (e non solo) in bilico

La guerra dei dazi di Trump: il mondo del vino (e non solo) in bilico
I provvedimenti della Casa Bianca arrivano in un momento già piuttosto critico per il settore © R. Chory - Unsplash

I Paesi produttori ed esportatori di alcolici negli Usa dovranno affrontare imposte diverse: 20% per l’Ue, 17% per Israele, 30% per il Sudafrica e 31% per la Svizzera. L’Asia è stata colpita più duramente, ma nessuno è stato escluso da una tassa di base del 10%, in cui rientrano anche Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Brasile e Cile. Le reazioni internazionali registrate sulla stampa estera

Per approfondimenti: Wine Business, Meininger’s International, Decanter, The drinks business, Wine Spectator, Wine-searcher, Le Figaro, La Revue du vin de France, La Revue du vin de France, Wine-searcher, The drinks business, Drinks Trade e The New York Times

L’impatto economico dei dazi imposti dall’amministrazione Trump ha già sconvolto il commercio globale. Nel settore del vino e di tutte le bevande alcoliche l’effetto negativo è, in realtà, partito ancor prima dell’annuncio ufficiale del 2 aprile, a causa della paura e dell’instabilità generate dallo stesso presidente degli States, che a marzo scorso aveva minacciato l’Ue con l’introduzione di dazi del 200% proprio sui vini e gli alcolici provenienti dal Vecchio Continente.

I Paesi sono stati diversamente colpiti

I Paesi produttori ed esportatori di alcolici negli Usa dovranno affrontare dazi punitivi diversi: 20% per l’Ue, 17% per Israele, 30% per il Sudafrica e 31% per la Svizzera. L’Asia è stata colpita più duramente, ma nessuno è stato escluso da una tassa di base del 10%, in cui rientrano – tra gli altri – anche Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Argentina, Brasile e Cile.
I dazi Usa arrivano, inoltre, in un momento critico per il settore del vino tra consumatori che cambiano e la diffidenza delle nuove generazioni, un calo netto delle vendite, un panorama sempre più competitivo, campagne anti-alcol, l’inflazione e l’instabilità politica e, non da ultima, la crisi climatica. Se, prese singolarmente, queste problematiche possono essere considerate come affrontabili, nel loro insieme creano “una sfida che il settore del vino non ha mai affrontato”, si legge su Wine Business.

Tra negoziazioni e ulteriori minacce

I dazi attualmente in vigore non sono, però, definitivi. Trump sarebbe pronto a negoziare, ma anche a imporre nuove e più alte sanzioni. Inoltre, c’è ancora in bilico la ripresa dei dazi del 25% su alcuni vini dell’Ue come parte della controversia commerciale Boeing-Airbus. Scrive Robert Joseph su Meininger’s International: “Il presidente Usa potrebbe semplicemente cambiare idea e questo sarebbe del tutto in linea con il personaggio: nel suo caso nulla è certo o prevedibile, non esiste un amico o un alleato. E la paura che enormi dazi possano essere inventati durante la notte, mentre una spedizione è a metà strada attraverso l’oceano, ora incomberà su ogni importatore statunitense”. Inoltre, si deve ancora aspettare per sapere come la Commissione europea intende rispondere con le sue contromisure sulle importazioni di acciaio e alluminio entro la fine del mese.

La prima risposta dell’Ue

Siccome gli Usa sono di gran lunga il più grande mercato di esportazione dell’Ue – solo per il vino, l’export nel 2024 ha raggiunto 4,88 miliardi di euro – i dazi del 20% danneggeranno inevitabilmente le aziende vinicole. Marzia Varvaglione, presidente del Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev) che rappresenta i produttori di vino europei, ha affermato come questa nuova politica trumpiana porterà a licenziamenti, a un rinvio degli investimenti e ad aumenti dei prezzi. «Il mercato Usa è fondamentale per la sostenibilità economica del settore vinicolo europeo e non esiste un’alternativa che possa compensare la perdita statunitense». Inoltre, aggiunge Varvaglione: «Prendere di mira il vino dell’Ue creerà solo dei perdenti su entrambe le sponde dell’Atlantico» (Decanter).

I più colpiti sono Italia, Francia e i loro importatori

Tutti i Paesi produttori di vino dell’Ue sono interessati dai dazi statunitensi, ma Francia e Italia sono i più colpiti esportando maggiormente sia in termini di volume (14% per l’Italia e 5% per la Francia), sia di valore (14% per l’Italia e 10% per la Francia, seguiti da Spagna, Germania e Portogallo (The drinks business). A pagare, inoltre, il costo dei dazi non sono le aziende vinicole, ma gli importatori. Si tratta di dazi che vengono riscossi alla dogana, ma che poi vengono quasi sempre trasferiti lungo la filiera ai consumatori, funzionando di fatto come un’imposta sulle vendite del vino. Alcuni produttori nei Paesi che affrontano i dazi del 10% hanno affermato che assorbiranno almeno una parte del costo, ma non è chiaro quanti possano permetterselo. Alcuni vini importati potrebbero semplicemente scomparire dal mercato statunitense (Wine Spectator).

Chi ne trae vantaggio e chi paga?

Wine-searcher ha dedicato un articolo ai “vincitori e i perdenti” della politica di Trump. Mentre spunta qualche possibile vincitore tra cui, almeno in prima analisi, i viticoltori degli Usa e “forse” – il dubbio viene sottolineato – australiani, neozelandesi e britannici che potrebbero festeggiare il loro 10% rispetto al 20% imposto agli europei e al 30% con cui devono fare i conti i sudafricani, i perdenti sono, invece, la maggioranza. L’autore del pezzo W. Blake Gray individua, infatti, come “perdenti” anche i produttori di vino di Nuova Zelanda, Australia, Cile e Argentina: quattro paesi che competono con i vini dell’Ue sugli scaffali dei supermercati statunitensi, ma ognuno dei quali aveva almeno un motivo – l’Argentina, per esempio, contava sull’amicizia di Trump e il presidente Javier Milei – per credere che potessero essere risparmiati. Nessuno lo è stato.

La Francia vacilla

La Federazione francese per l’esportazione di vini e liquori (Fevs), ha avvertito che l’imposta del 20% potrebbe cancellare circa 800 milioni di euro dal valore delle esportazioni francesi, più di quanto erano costati i dazi del 25% imposti durante il primo mandato di Trump alla Casa Bianca, ovvero 600 milioni di euro (Le Figaro). Per la Francia il colpo è duro e le principali aree vinicole vacillano. I produttori di Champagne credono che si debba trovare una soluzione per non buttare al vento anni di costruzione di un mercato forte e fedele come gli Usa, che nel 2023 avevano importato quasi 30 milioni di bottiglie di Champagne per un valore di 810 milioni di euro (La Revue du vin de France). Il presidente del Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne (Bivb), Laurent Delaunay, esprime sentimenti di delusione, ma anche sollievo, affermando di poter contare sui buoni rapporti con i partner di lunga data americani e calcolando che l’impatto dei dazi sui vini della Borgogna dovrebbe aggirarsi intorno ai 100 milioni di euro, senza però causare uno stop improvviso come si era temuto inizialmente (La revue du vin de France). Intanto Bordeaux naviga nell’incertezza e, mentre la campagna En Primeur entra in azione, il mercato globale dei vini pregiati è più volatile che mai (Wine-searcher).

La delusione australiana

Gli annunci del presidente Trump hanno inferto un duro colpo ad alcuni Paesi che si sarebbero aspettati un trattamento migliore. Tra questi c’è l’Australia, il cui primo ministro Anthony Albanese ha affermato che le misure «non hanno alcun fondamento logico e non sono state le azioni di una nazione amica». Il governo australiano ha affermato che prenderà in considerazione misure di «risoluzione delle controversie», ma ha aggiunto che non reagirà con altri dazi (The drinks business). Intanto, il più grande produttore di vino australiano – Treasury Wine Estates – ha detto agli azionisti che non prevede un impatto materiale sulla sua attività, dato che il vino venduto negli States è prevalentemente prodotto e confezionato in loco. Tuttavia, Justin Taylor, export manager di Taylors Wines, ritiene che queste misure potrebbero avere conseguenze per il vino australiano in altri mercati chiave: «Ci sono sicuramente luoghi in cui sarà un vantaggio, come in Canada, ma i vini europei si affacceranno su altri mercati e questo potrebbe creare uno svantaggio per noi», ha spiegato Taylor a Drinks Trade.

Il Sudafrica paga un prezzo ancora più alto

Ma a dover affrontare un probabile stop alle esportazioni di vino negli Stati Uniti è proprio il Paese di origine di Elon Musk, che è stato colpito da dazi del 30% e per il quale gli States sono il quarto mercato di esportazione di vino dopo il Regno Unito, gli altri Paesi africani messi insieme e i Paesi Bassi. Nel 2023, il Sudafrica aveva registrato una crescita del +4% del valore delle esportazioni di vini in bottiglia inviati agli Usa e, in generale, una crescita dell’export, ma ora le aziende vinicole sudafricane che sperano affacciarsi verso altri Paesi dovranno affrontare una dura concorrenza da parte di ogni produttore del mondo che cercherà di percorrere le stesse strade (Wine-searcher).

L’impatto negativo anche (e soprattutto) negli Usa

Per quasi tutti, però, il più grande penalizzato dalle politiche di Trump sarà proprio il consumatore statunitense, che si troverà a scegliere tra meno vini a un prezzo più alto. Su The New York Times Eric Asimov spiega come il sistema americano formato da una catena di importatori, distributori, rivenditori e ristoranti dovrà assorbire una parte dei costi aggiuntivi: “Quasi tutti nel mondo del vino americano rischiano di perdere qualcosa. Non è chiaro chi ci guadagna”, si legge. Anche i prezzi dei vini americani – che solo apparentemente potrebbero avere un vantaggio – aumenteranno, poiché i distributori, la maggior parte dei quali dipende anche dai vini importati, cercheranno di recuperare i profitti persi, mentre i tanti che fanno affidamento su prodotti importati come botti, tappi, bottiglie e attrezzature agricole, dovranno scaricare gli aumenti sul prezzo dei loro prodotti. Il tutto potrebbe, in ultima analisi, accelerare un trend già evidente: ovvero il calo dei consumi di vino.

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