Mondo

Mondo

La California che non ti aspetti

26 Agosto 2010 Marco Santini
Un tour tra Napa Valley e Sonoma alla ricerca di produttori atipici - Lontane dai gusti omologati si trovano Cantine orientate a biologico e biodinamico e attente al rispetto del territorio - Qui è iniziata, a metà Ottocento, la storia della viticoltura e dell’enologia statunitensi, per merito dei primi dominatori spagnoli e dell’apporto successivo di tanti popoli immigrati, compresi gli italiani Siamo abituati a identificare l’enologia californiana con quei vini muscolosi e possenti, esagerati e spesso troppo semplici che riassumono più in generale il tratto enologico del Nuovo Mondo. Ma, al di là dei luoghi comuni e degli esempi più noti, un viaggio attento può riservare molte piacevoli sorprese. Esiste infatti un pugno di produttori che ha scelto di percorrere sentieri meno scontati e di dar vita a vini che riflettano il territorio piuttosto che collaudate routine commerciali... [emember_protected] Le parole d’ordine sono eleganza e agricoltura biologica. Quest’ultimo in particolare è un trend in forte crescita, che incarna le aspettative di una nuova nicchia di mercato, fatta di giovani appassionati più esigenti e curiosi. Per quanto riguarda invece la ricerca dell’eleganza e della finezza, bisogna andare a frugare nelle radici dell’avventura enologica californiana: i loro artefici sono per lo più piccole Case vinicole, in molti casi fra le prime a essere nate nella regione. Realtà che sono sfuggite al dominio delle grandi multinazionali, che sono rimaste nelle mani di un singolo proprietario e che vivono di passione piuttosto che di grandi bilanci. Per questa ricerca ci siamo avvalsi dell’aiuto di una guida d’eccezione: Brian Larky è un vecchio amico, ha studiato enologia all’Università di Davis, in California, ed è stato il primo vinificatore americano a lavorare in Italia, a Ca’ del Bosco in Franciacorta. Tornato nella Napa Valley, importa vino italiano ed è un profondo conoscitore della realtà locale. Simbolo d’America Il palcoscenico è la California del Nord, per la precisione quella piccola regione a due passi da San Francisco compresa fra la Napa Valley e la Sonoma Valley, una manciata di chilometri quadrati di terreni vocati, benedetti da un clima perfetto per la vite, che ospita la più alta concentrazione di Case vinicole d’America. È questo il cuore, il simbolo, il motore pulsante di tutto il panorama enologico d’Oltreoceano. Qui sono nati i primi grandi vini del Nuovo Mondo, capostipiti di un successo che ha rivoluzionato, nel bene o nel male, l’approccio al bere in una buona metà del globo. Negli ultimi vent’anni i vini californiani hanno saputo imporsi a livello internazionale come una realtà di riferimento, grazie a un indiscutibile livello qualitativo, ma soprattutto a uno stile, a una palette sensoriale semplificata e capace di rendersi facilmente comprensibile a qualcosa come 600 milioni di nuovi bevitori in tutto il pianeta. Entrambe lunghe una cinquantina di chilometri, le due valli si trovano subito a nord della baia di San Francisco, fra l’oceano Pacifico e la Sierra Nevada. È proprio l’influsso dell’oceano che mitiga il caldo torrido tipico dell’entroterra californiano e crea le condizioni climatiche ideali per la viticoltura. Qui non fa mai troppo caldo né troppo freddo, le notti sono fresche, si alza un po’ di nebbia di tanto in tanto e cade poca pioggia. È una terra dura, pietrosa, difficile, sulla quale la vite è costretta a combattere per sopravvivere ed estrarre il nutrimento dal terreno. Una situazione privilegiata, che non sfuggì al generale Mariano Vallejo, comandante della guarnigione messicana di stanza a Sonoma, considerato il primo vinificatore “privato “ del Nuovo Mondo. La vite era stata introdotta dagli spagnoli e il primo vino californiano venne prodotto nella missione di San Juan de Capistrano, poco più a sud di Los Angeles, nel 1782. Vallejo, dopo essersi occupato della secolarizzazione delle missioni nel nord della California, dopo aver contribuito attivamente alla transizione dal controllo ispanico a quello americano (era assolutamente pro Yankee), fu il vero padre della storia vinicola made in Usa. Verso la metà dell’Ottocento fu proprio Vallejo a incoraggiare Agoston Haraszthy, immigrante ungherese, a piantare delle vigne. Haraszthy fu il primo a intuire che per migliorare la qualità del vino americano era necessario abbandonare le viti autoctone impiegate dai missionari e importare le varietà europee. Fu così che fecero la loro comparsa il Cabernet Sauvignon, il Merlot, lo Chardonnay, provenienti da Bordeaux, e le varietà della Côte du Rhône, prima fra tutte il Syrah. I tempi erano maturi, la regione assisteva al primo vero e proprio boom d’immigrazione e cominciarono ad arrivare europei in numero sempre maggiore. Verso la fine dell’Ottocento furono i vignaioli tedeschi a dare grande impulso all’industria enologica, poi venne il turno degli italiani all’inizio del Novecento, che affiancarono un numero sempre maggiore di vinificatori locali. Il National Prohibition Act del 1919 ebbe un effetto curioso in Napa e Sonoma: molte Case vinicole chiusero, alcune come Beaulieu o Beringer sopravvissero producendo il vino per la messa, ma la scomparsa dal mercato dell’uva d’importazione provocò l’aumento della domanda interna di uva da tavola, con il risultato che alla fine del Proibizionismo la produzione di uva californiana era più che raddoppiata. La piccola e quasi sconosciuta industria vinicola americana poteva cominciare finalmente la sua grande avventura. Alla fine della Seconda guerra mondiale, molti soldati di ritorno dai fronti europei portarono a casa la passione per il vino e un gusto nuovo, più raffinato, che contribuì a un considerevole salto di qualità. Il grande momento arrivò nel 1976 a Parigi quando, nell’ambito dei festeggiamenti per il secondo centenario dell’Indipendenza americana, un commerciante francese ebbe la brillante idea di organizzare un concorso fra vini francesi e californiani. Vinsero gli americani e la Napa Valley fece la sua comparsa sulle carte geografiche. Si tratta di un territorio di grande bellezza, con fughe di colline che delimitano la geografia esatta delle vigne, punteggiate dalla mole delle grandi querce americane. Una regione da scoprire senza fretta, in auto oppure in bicicletta, a bordo del Wine Train o, meglio ancora, in mongolfiera. Bisogna ricordare che sono stati proprio i californiani a sviluppare in pieno il concetto di turismo del vino. Qui tutto è dedicato al visitatore, trascendendo la cultura vinicola, fino al culto dell’immagine e del servizio. Una vallata famosa Lasciata San Francisco, in una mezz’ora di strada ci si trova nella Napa Valley. Salendo verso Calistoga lungo la Highway 29 per una cinquantina di chilometri si supera una successione infinita di Cantine. Ed ecco la Rubicon Estate di Francis Ford Coppola, una delle poche aziende che rispondono in pieno a entrambi i requisiti alla base della nostra ricerca. Fra le prime proprietà a convertirsi all’agricoltura biologica, la Casa vinicola rappresenta una sorta di polo di notorietà e di riferimento per i sostenitori di questa filosofia. I risultati ottenuti da Rubicon Estate sono la prova che è possibile produrre grandi vini nel rispetto dell’ambiente e, in ultima analisi, della salute dei bevitori. Qui l’enologo Scott McLeod, uno dei primi americani ad aver lavorato anche in Italia, ha saputo creare un vino che brilla per eleganza e finezza: il Rubicon. Ottenuto esclusivamente da uve provenienti dalle migliori vigne della proprietà a regime biologico, è composto da Cabernet Sauvignon per il 90% e per la rimanente parte da Merlot, Cabernet Franc e Petit Verdot. Si tratta di un vino molto concentrato e complesso. Di color rosso rubino profondo con riflessi violacei, regala sentori di ciliegia, amarena e viola. Il gusto è potente ma vellutato, con tannini ben integrati e in finale lungo, con ricordi di cioccolato fondente. McLeod ha da poco lasciato la Cantina, in cui resta come consulente, ma il Rubicon che assaggerete in visita sarà ancora il suo, almeno per tre anni, visti i tempi di produzione di questo vino. Sul ripido versante orientale della Napa Valley emerge invece la figura di una donna che produce vini superlativi. Nata in Argentina, cresciuta in Francia, con una casa in Maremma dove cerca di passare più tempo possibile, Delia Viader è stata una delle prime donne del vino in America. La sua vigna è del tutto inconsueta, con i filari che precipitano ripidi verso la valle a ricordare un paesaggio viticolo più consono a certe regioni nostrane. Qui tutto è straordinario, l’atmosfera che si respira nella proprietà (forse anche grazie al fatto che non c’è chimica nel territorio), il carattere esplosivo di Delia, lo stile dei suoi vini che raggiungono punte di eleganza sconosciute in questa parte di mondo. Il suo blend di Cabernet Sauvignon per il 60% e Cabernet Franc per il 40%, chiamato semplicemente Viader, è caratterizzato da finezza e complessità che ricordano i migliori Cheval Blanc di Saint-Emilion. Delia Viader è convinta che la biodinamica sia la nuova frontiera dell’enologia. In tutto il mondo i vignerons che si convertono a questa disciplina estrema sono sempre di più e la Napa Valley conferma questo trend. I concetti dell’agricoltura biodinamica si riassumono in poche parole: niente chimica, rispetto assoluto dei ritmi della terra e delle fasi lunari. Tradotta in pratica la faccenda è un po’ più complessa ma sembra dare risultati straordinari. Delia fa un esempio molto semplice: «Avete mai provato a nuotare contro il verso della marea? Bene, nel caso dell’agricoltura l’influsso della luna è altrettanto significativo. Anziché affannarci nel tentativo di forzare la natura a ubbidire alle leggi della chimica e della tecnologia, siamo noi che cerchiamo di assecondarne i ritmi». Delia produce ogni anno circa 60 mila bottiglie di quello che viene ormai definito dalla critica un cult wine, vino di culto. Poco lontano, Frog’s Leap Vineyard ha portato il concetto green ancora più in là: bioarchitettura, energia solare, energia geotermica, ricerca e impiego di materiali ecologici si aggiungono alla certificazione di agricoltura biologica e alle tecniche di dry farming (cioè senza irrigazione). Soprattutto quest’ultimo aspetto è considerato da John Williams, proprietario ed enologo di Frog’s Leap, il cardine essenziale per ottenere vini che riflettano il territorio, per effetto della maggiore penetrazione delle radici nel terreno a cui le viti sono costrette per cercare l’acqua. Fra i suoi vini, non si deve perdere il notevole Cabernet Rutherford, proveniente dalla zona ritenuta di maggior vocazione in America per questo vitigno. Per trovare uno Chardonnay di grande eleganza bisogna spingersi nel settore settentrionale della Napa, oltre St. Helena, dove le pendici boscose dei monti nascondono un balcone naturale che ospita alcune delle più vecchie vigne della regione. A Stony Hill, la famiglia McCrea da oltre 60 anni produce Chardonnay poco legnosi, per nulla “grassi” e capaci di eccellente invecchiamento. Con l’aiuto di Michael Chelini, winemaker di origine italiana, Peter McCrea sforna anno dopo anno vini lontanissimi dall’icona californiana: provate a mettere le mani su una bottiglia di 2001. [/emember_protected]

Mondo

La guerra dei dazi di Trump: il mondo del vino (e non solo) in bilico

L’impatto economico dei dazi imposti dall’amministrazione Trump ha già sconvolto il commercio […]

Leggi tutto

ProWein perde la leadership tra le fiere europee del vino

Anche per la storica manifestazione di Düsseldorf, andata in scena tra il […]

Leggi tutto

La leggerezza dei Kabinett

Nascono soprattutto da uve Riesling. Sono vini freschi e poco alcolici, dove […]

Leggi tutto

Dazi Usa: stop di 90 giorni, ma rimane il 10% sulle esportazioni

Novanta giorni di pausa, così ha dichiarato il 9 aprile il presidente […]

Leggi tutto

Champagne Deutz a una svolta con il nuovo importatore Sagna

In pochi mesi sono cambiate tante cose in una delle storiche Maison […]

Leggi tutto

Alsace Rocks! in tour: viaggio alla scoperta dei vini d’Alsazia

Quattro tappe – due a Milano, una a Parma e una a […]

Leggi tutto

Stag’s Leap Wine Cellars (Marchesi Antinori) acquisisce Arcadia Vineyard

Un vigneto iconico, idilliaco di nome e di fatto, situato nella zona […]

Leggi tutto

Il Rinascimento della Rheinhessen

Dopo i fasti del passato e il declino a seguito della Prima […]

Leggi tutto
X

Hai dimenticato la Password?

Registrati