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Italia in Rosa sulla scia della Provenza

14 Giugno 2016 Monica Sommacampagna
Francia batte Italia a 43 contro 5 se si confrontano le percentuali di crescita dei rosati, chiaretti e rosè. La partita deve però ancora iniziare per il nostro Paese che, su 20 milioni di ettolitri di vino esportato, pari a 5,4 miliardi di euro, oggi non dispone di stime economiche ufficiali per questa tipologia. Di qui la sfida a monitorare il settore lanciata ad Ismea da Italia in Rosa, dal 10 al 12 giugno a Puegnago del Garda (Brescia): una manifestazione specializzata, che l’anno prossimo celebrerà il suo decennale. Ma non solo: urge un lavoro di squadra tra tutti i rosati italiani per costituire un osservatorio su caratteristiche e prezzi e rendere la comunicazione un trampolino di lancio nei consumi. Il confronto con i francesi a Villa Galniga, sede del Consorzio Valtenesi, ha dimostrato che ne vale proprio la pena.

Prospettive più che rosee (se facciamo sistema)

Abbiamo molto da imparare dai nostri storici competitor: nei rosè credono da 30 anni, tant’è che il 90% della produzione vinicola della Provenza è rappresentata dai rosé, che a loro volta occupano una quota del 40% sul totale dei rosati a denominazione prodotti in Francia (7,3 milioni di ettolitri). Risultato? Oltre il 31% del vino fermo consumato in Francia è rosé. “A livello mondiale, la produzione ha oggi toccato i 22,7 milioni di hl, pari a circa il 10% dei vini consumati nel 2014 (quota che nel 2002 era pari all’8%)” ha dichiarato Michel Couderc, responsabile del centro studi ed economia del Conseil Interprofessionnel Vins de Provence che ha riferito anche il paradosso italiano quando si parla di rosati. Da una parte l’Italia è il secondo esportatore nel mondo in volume dopo la Spagna con il 16% e una quota del 23% a valore in un mercato mondiale sempre più internazionale nel quale ben 4 bottiglie su 10 di rosè prodotti nel mondo passano la frontiera prima del consumo (per un interscambio che vale circa 1,5 miliardi di euro). Dall’altra i consumi dei nostri rosati, a giudicare dai pochi dati disponibili, sembrano minimi o in calo. “Urge una strategia comune che ci consenta di raccogliere tutte le informazioni di mercato e costruire un’alleanza strategica tra tutti i rosati, chiaretti e rosè italiani” ha dichiarato Carlo Alberto Panont, direttore del Consorzio Valtenesi, suffragrato da Lucia Nettis, direttrice dell’associazione Puglia in Rosè. Tiziana Sarnari di Ismea ha citato qualche dato incoraggiante: “Nella nostra GDO i rosati valgono il 5% a volume e il 4% a valore, e nel 2015 i rosati Dop sono cresciuti del + 6% a volume e del +4% a valore”.

Chapeau alla Francia per il marketing

Tanto di cappello a chi è riuscito a conquistare in 12 anni di attività di marketing e di comunicazione sinergica il 31% di quota di esportazioni di rosati a valore per un 16% a quantità, contrariamente alla Spagna che ha fatto il gioco inverso puntando sui volumi a basso costo (39% del mercato a volume e 16% a valore). Merito dei forti investimenti congiunti in immagine in risposta a un cambio di stile di vita che ha dato più peso agli aperitivi e a pasti freddi e veloci: di qui la valorizzazione dei rosè come vini poco impegnativi, freschi e con una interessante aromaticità, con consumi trainati dai giovani e da un pubblico femminile. A fare da garanzia il terroir, la Provenza, che ha reso esclusivi i rosè dell’intera regione vitivinicola attraverso campagne pubblicitarie accattivanti ma soprattutto coerenti. Le possibilità ci sono, anche per la florida produzione di alta qualità italiana: non dimentichiamo infatti che i risultati francesi sono stati ottenuti con volumi uguali a quelli del nostro Paese.

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