Si parla tanto di vecchi mercati da consolidare e nuove piazze da conquistare, tra Bric (che ultimamente è diventato Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e Peco (alias Paesi dell’Europa centrale e orientale), ma il vino non è sempre e solo export, anzi. L’ultima indagine della Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori, sottolinea l’importanza del settore enologico per il mercato del lavoro nazionale: in questo periodo di crisi, con un calo generalizzato dei consumi interni e l’aumento del tasso di disoccupazione, il comparto del vino crea imprese e impiego, soprattutto tra i giovani e le donne.
SEMPRE PIÙ GIOVANI E DONNE - Secondo i numeri forniti dalla Cia, le persone che gravitano attorno al pianeta vino sono oggi circa 1,2 milioni, con un aumento del 50 per cento negli ultimi 10 anni. Tra i neoassunti, un lavoratore dipendente su quattro è un giovane. Le donne a capo di imprese agricole sono 490 mila; di cui il 30 per cento conduce un’azienda di tipo vinicolo. Il 70 per cento lavora in cantina, l’11 per cento si occupa della ristorazione, il 9 per cento della sommellerie e un altro 9 per cento del reparto comunicazione.
I PROBLEMI DI CASA NOSTRA - I fatturati delle nostre Case vinicole sono sostenuti dagli sbocchi commerciali con l’estero, questo è fuor di dubbio, mentre il mercato interno continua a faticare. Dal 1995 al 2012 il consumo pro capite degli italiani è sceso da 55 a 39 litri. Meno 16 litri in 17 anni, quasi 1 litro all’anno; numeri su cui riflettere.