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Il design esclusivo del vino di Chio, celebre nella Grecia antica

24 Agosto 2018 Civiltà del bere

di Antonella Giardina e Cristian Aiello

Da cosa nasce cosa. Il titolo del celebre libro di Bruno Munari, artista e designer di fama internazionale, con la semplicità tipica del lampo di genio indica la sintesi estrema dell’intera cultura occidentale. "Da cosa nasce cosa" esemplifica, a nostro avviso, la logica interna a tutto l’Occidente, strutturato sulla fede assoluta in un’origine e in un fondamento da cui tutto si diparte e da cui ogni cosa si declina, coerentemente. A differenza dell’Oriente, dove le figure cardine sono la trasformazione incessante e il relativo riassorbimento di ogni differenza in un continuo e perenne ritorno all’indifferenziato.

La logica della separazione nella cultura occidentale

A regnare incontrastata nella nostra forma mentis, tanto da darla per ovvia e per banale, è la logica della separazione che marca la differenza esaltando l’identità, l’unicità, la tipicità. Si separa il cielo dalla terra, le acque dalle terre, la costola dal corpo, e così procedendo ogni singola cosa, secondo la logica generatrice (logos), viene alla luce mostrando il suo proprio nome e la sua esclusività. Insomma, separando e declinando in forme sempre differenti ma sempre fedeli al primo principio logico ordinatore (A=A)... da cosa nasce cosa.    

Il vino di Chio nell'antichità

E fu così che Chio, isola greca dell’Egeo, prospiciente la costa turca, deriva il suo nome, secondo il mito, direttamente dal mare, essendo Chio uno dei figli di Poseidone, il dio del mare. Sempre secondo il mito, sarebbe stato Enopio (dal greco “bevitore di vino”) a diffondere la coltura della vite sull’isola, dando vita a una tradizione di ineguagliabile ricchezza, al punto che il vino di Chio acquista denominazione propria posizionandosi come uno dei più celebri dell’antichità. Fu definito da Callimaco “nettare puro” dell’isola “vinosa” ed Ermippo lo descrive come vino d’eccellenza privo di difetti e dalle proprietà curative.

Un vino dal sapore di sale

Pare che il successo del vino di Chio fosse dovuto alla singolare presenza, al suo interno, di sale marino, unitosi ai grappoli durante la pratica enologica di immergere l’uva (collocata in apposite ceste) nelle acque del mare per alcuni giorni. Il legame con il mare è sottolineato anche nelle satire di Orazio, nella cena di Nasidieno, dove il vino Chio viene definito maris expers, ovvero con un appellativo che, nello stile della satira, gioca sull’ambiguità della possibile traduzione. Nel primo senso si dovrebbe intendere che il vino versato “non è navigato” e che quindi non avendo varcato il mare non può essere il vino di Chio, ma un falso. Nel secondo significato alluderebbe al fatto che “non ha provato il mare” e quindi sarebbe un vino puro, non temprato con acqua marina, attestando così l’usanza diffusa e descritta da vari autori antichi tra cui Ateneo di Naucrati ne I dotti a banchetto.

Perché nasce l'anfora chiota

Strabone e Varrone definiscono il Chio come il miglior vino della Grecia ed è certo che ebbe un gran successo in tutto il Mediterraneo. Superlativa, e al contempo coerente con quel bisogno di identità che abbiamo rimarcato in apertura, è l’ideazione da parte dei Greci di una peculiare anfora, dal “design esclusivo”, classificata dagli studiosi come chiota e marchiata a partire dal V secolo con il tipo monetale della città, la Sfinge con anfora, con cui assicuravano la massima riconoscibilità al vino e alla propria identità territoriale. La terra di Chio rappresenta dunque un altro grande esempio di terroir culturale in cui ogni cosa è coerentemente intrecciata con ogni altra cosa derivando quell’unicità mai replicabile.
L'articolo è tratto da Civiltà del bere 3/2018. Per continuare a leggere effettua il login, oppure acquista il numero sul nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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