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2010-2019. I vini italiani che hanno segnato l’ultimo decennio

3 Aprile 2020 Cesare Pillon
2010-2019. I vini italiani che hanno segnato l’ultimo decennio

Dal re del Piemonte ai più noti Supertuscan, dall’Amarone al Brunello, fino al Chianti Classico, senza tralasciare il fenomeno Prosecco. Ecco le etichette italiane che, a nostro parere, più si sono messe in luce in questi ultimi dieci anni e di cui sentiremo ancora parlare.

Anni tormentati, quelli del decennio che si è appena concluso, anni segnati dal perdurare della crisi economica, dall’acuirsi delle differenze sociali, dalla preoccupazione per i mutamenti climatici. Eppure sono stati anni di crescita, per il vino italiano, che ha subìto meno danni dei suoi competitori perché ha affrontato le difficoltà come stimoli per sperimentare soluzioni nuove.

La bottaia di Giacosa

Nebbiolo alla ribalta

Dieci anni fa, per esempio, era sentita l’esigenza che tornassero alla ribalta i vini da varietà autoctone, messi in ombra dal successo internazionale ottenuto negli anni ’80 dai Supertuscan. Oggi alle aste vanno a ruba gli autoctoni: il Barolo Monfortino e le Riserve etichetta rossa dei Barbaresco di Bruno Giacosa. Lo debbono anche ad altri Barolo, a cominciare dal possente ma elegante Bricco Boschis che i fratelli Cavallotto ricavano da una delle tenute che appartennero a Juliette Colbert, mitica Marchesa di Barolo; e ad altri Barbaresco, come il Bric Balin della Cantina Moccagatta, che con i suoi sentori balsamici ha affascinato i critici di Wine Spectator, che l’hanno incluso, undicesimo, fra i Top 100 del 2019.

E non solo in Piemonte

Il vino ottenuto da Nebbiolo che ha emozionato di più, però, è Dirupi, un Valtellina Superiore con delicati tannini e profumate note di violetta che due giovanissimi enologi, Davide Fasolini e Pierpaolo Di Francoi, realizzano coltivando con impegno eroico i loro minuscoli vigneti terrazzati, erti e difficili.

Le vigne di Dirupi

Il fascino “autoctono” di Amarone ed Etna

Analogamente, in Valpolicella è cresciuta con inaspettata rapidità la fama dell’Amarone che Marco Speri realizza a Fumane con metodi innovativi soprattutto in vigna. All’azienda ha dato maliziosamente il nome di Secondo Marco, affinché sia chiaro che il suo è l’“Amarone secondo Marco”: morbido e vellutato, ma di incisiva personalità, non ha avuto difficoltà a imporsi dopo la stagione degli Amarone firmati Giuseppe Quintarelli e Romano Dal Forno, quando i prezzi erano saliti alle stelle. Anche al Sud è risorto un territorio grazie al fascino degli autoctoni: l’Etna con i suoi Nerello (per i rossi) e Carricante (per i bianchi).

Un particolare della vigna in cui nasce il Masseto

In Toscana da Bolgheri a Montalcino

Particolarmente articolato il rapporto che si è sviluppato in Toscana in questi anni Dieci tra i vini autoctoni e quelli ottenuti da varietà internazionali. A Bolgheri, dove questi ultimi sono prescritti dal disciplinare della Docg, la leadership del Sassicaia (e quindi del Cabernet) deve vedersela con l’inarrestabile ascesa del Masseto (cioè del Merlot). Lo stesso avvicendamento è in corso anche a Montalcino, dove il vino, monovarietale, può esser fatto solo con l’autoctono Sangiovese: Biondi Santi, la cui proprietà è passata in mani francesi, ha visto crollare alle aste, nel 2019, le quotazioni delle sue pregiate Riserve, mentre quelle di Gianfranco Soldera, che continuano a spuntare prezzi altissimi, sono adesso etichettate come Igt Toscana.

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