Come sarà la vitivinicoltura del futuro, messa alla prova da cambiamenti climatici, siccità e malattie sempre più aggressive? La risposta dei vivai risiede nelle nuove varietà di vite messe a punto dalla ricerca scientifica, i cosiddetti vitigni resistenti. Ma quali sono le reali prospettive? Ieri For.Agri e Civi-Italia. hanno organizzato un convegno all'Università di Verona, per fare il punto sul settore.
Il Paese dei vivai
«Il florovivaismo è uno dei settori economici più dinamici dell'economia agricola italiana», ha detto Stefano Bianchi, presidente di For.Agri. «A fronte della crisi di cui però oggi risente il comparto a livello internazionale, dobbiamo costruire un sistema di misure per ripristinare la competitività». In effetti, a guardare le cifre, parliamo di un settore dove il nostro Paese eccelle e rivela grandi numeri.
Serve più attenzione per il vivaismo viticolo
Su 4.350 imprese florovivaistiche italiane, 500 sono del settore viticolo, con un valore di 152.800.000 euro e un export di 60.140.000 euro. Gli ettari investiti sono 6.500 per un totale di 6.000 impiegati. Il problema, a tutto campo, non è meramente economico: «Non abbiamo bisogno di finanziamenti ma di attenzione dalle istituzioni perché la reputazione italiana nel settore si espanda nel mondo», è stata la richiesta di Giandomenico Consalvo, presidente del Civi-Italia. For.Agri ha infatti già finanziato dal 2009 al 2015 una cifra intorno ai 28 milioni di euro, di cui il 17% in ambito vitivinicolo.
Occorrono nuovi genotipi più performanti
Non poteva mancare il parere di una delle imprese vivaistiche viticole più proattive al mondo nella ricerca di vitigni resistenti a malattie come la peronospora o l’oidio. Il direttore di Vivai Cooperativi di RauscedoEugenio Sartori ha fatto il punto della situazione, partendo dai numeri: «In Europa sono disponibili 4.096 cloni di cui 1.312 italiani e 400 VCR. I vantaggi? La selezione clonale ha permesso di realizzare vigneti più sani, uniformi in grado di soddisfare maggiormente gli standard attuali a livello agronomico ed enologico».
Vitigni resistenti in vivaio. La selezione clonale non basta
Pur se l’effetto negativo della Xylella ha turbato alcuni mercati esteri, Vivai Cooperativi di Rauscedo guarda avanti: «Di fronte ai cambiamenti climatici sempre più destabilizzanti, a malattie e a parassiti più aggressivi, oltre ai problemi posti da una viticoltura stanziale e dall'invecchiamento genetico di vitigni e portainnesti, dobbiamo disporre di nuovi genotipi più performanti perché la selezione clonale non basta», spiega Sartori.
Il risparmio nella lotta a peronospora e oidio
I vitigni resistenti a peronospora e oidio, ottenuti da uno studio di VCR con l’Università di Udine avviato dal 1998, nascono nell’ambito di un programma di miglioramento genetico e offrono minori costi per la difesa che per ogni ettaro comporterebbero un risparmio di 32.400 euro nel nord-est Italia, di 24.150 euro nelle regioni centrali e al sud di 19.950 euro. Oltre a ridurre fino a 5 volte il numero di trattamenti nei casi di maggiore urgenza, garantendo vini più salubri.
Un grosso problema: il nome
Uno dei problemi più evidenti risiede nel nome dato ai vitigni resistenti. Solleva la questione Davide Gaeta, docente all’Università di Verona: «Si tratta di una questione etica e di tutela del consumatore, a oggi non risolta. In genere si utilizza il nome del vitigno noto, per esempio un Cabernet, e si aggiunge una sigla. Tuttavia un pubblico non preparato difficilmente comprende cosa significa Cabernet modificato rispetto al Cabernet di partenza da cui è stato ottenuto. E dato che molti vitigni ottenuti con metodi non Ogm come l'ibridazione si sono molto allontanati dall'originale, il mercato può essere disorientato».