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Doppio applauso per Antinori, Zonin e Planeta

7 Gennaio 2013 Alessandro Torcoli
I prezzi dello Champagne sono in caduta libera. Non si è mai bevuto così bene, a cifre tanto convenienti, negli ultimi vent’anni. In picchiata: Mumm si trova nella Grande distribuzione (francese) a circa 11 euro. Certo, in promozione. Ci mancherebbe altro. Ma la stessa triste sorte capita da tempo, ricordiamolo, ai nostri gioielli, Amarone, Brunello e Barolo, che pure sono molto più rari dello Champagne e messi insieme superano di poco i 30 milioni di bottiglie, contro i 385 milioni delle nobili bollicine francesi. VENDERE A OGNI COSTO - Fenomeni di dumping, di sciacallaggio, di disperazione portano distributori e rivenditori a esitare le etichette top a cifre infime. Negli Usa spopola una private label che propone i migliori vini del mondo (secondo la critica internazionale) a prezzi affare, semplicemente dicendo agli americani “in questa bottiglia c’è un Rioja 95 punti Parker”. L’acquirente non saprà mai chi è il vero autore (se con leggerezza questi non lascia il suo tappo marchiato nella bottiglia), ma poco importa al consumatore meno ricercato. Ha fatto un affare. GLI EFFETTI DELL'ARTICOLO 62 - Insomma, vendere oggi è l’imperativo, altro che politiche di branding, comunicazione, immagine. «Facciamo fatica a dare i nostri vini a chi non ci paga», ci ha detto con disarmante chiarezza un produttore friulano riferendosi al problema della riscossione del credito presso la ristorazione, piaga che il discusso Articolo 62 dovrebbe sanare. Pare invece che questo stia per aprire scenari apocalittici. Tra le varie cose, il dispositivo di legge impone pagamenti obbligatori a 60 giorni nelle relazioni commerciali e punisce non solo chi acquista e non salda, ma anche chi vende e non pretende di esser pagato, che si tratti di ristoranti che comprano bottiglie o di aziende vinicole che acquistano vino o uve; esonera però le cooperative di primo e di secondo livello dal rispetto di questi termini trattandosi di conferimento e non di vendita, aggravando così il malessere degli imprenditori privati che da decenni competono sullo stesso campo con realtà che seguono regole semplificate. Ad esempio, se una azienda privata chiude l’anno con il bilancio in rosso o i soci rimettono soldi propri, o si chiama il parroco per l’estrema unzione. Tutti a casa. Se una cooperativa sopravvive sospesa sopra un baratro di perdite, galleggia per anni e solo in casi eclatanti si chiama un medico non tanto per curare, quanto per un accanimento terapeutico. ITALIA VS FRANCIA -  In ogni modo, i tempi duri perdureranno per almeno cinque anni, come ha recentemente dichiarato Angela Merkel. Speriamo sia previsione pessimistica. Intanto l’Italia supera la Francia, in termini di ettolitri di vino ottenuto (la Repubblica, 1° novembre 2012). L’abbiamo già sentito. È un bene? Non si vede come. È vero che siamo ai record nell’esportazione del nostro vino (4,5 miliardi), ma i nostri prezzi restano ovunque ben sotto a quelli francesi, nonostante le loro ultime pessime performance. Chissà perché tra gli addetti ai lavori questa è un’evidenza, mentre l’universo della comunicazione sembra interessato a parlare di vino, che tutto sommato è un prodotto che traina un pezzetto di Italia, solo in questi termini banali, triti e in fondo falsi. CHI INVESTE IN TEMPI DI CRISI - In questo quadro, non mancano naturalmente i segnali di speranza. In questi mesi abbiamo assistito a eventi molto incoraggianti: si continuano a inaugurare monumenti al futuro, cantine che ci proiettano al di sopra delle fosche analisi, come il nuovo quartier generale dei marchesi Antinori nel Chianti, la masseria Salentina della famiglia Zonin e l’avamposto dei Planeta sull’Etna. Un doppio applauso a chi ha investito in tali opere, uno perché hanno portato genio e bellezza, l’altro per aver creduto nell’ Italia portando una ventata di freschezza.

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