La figura di Dioniso, dio ambiguo e viaggiatore, e del suo dono ai mortali. Le liriche sulla bevanda seducente e pericolosa. Il suo consumo, che distingueva civili e barbari, uomini e donne. E la sua connessione con la società di Roma e Atene. Ne parliamo con GiorgioIeranò, docente di Filologia e Letteratura greca all’Università di Trento.
In una criptica metafora che ricorre nei suoi poemi, e che ha spesso diviso gli studiosi, Omero parla di un “mare color del vino”. Con ogni probabilità è la natura profonda più che l’apparenza cromatica che accomuna i due liquidi agli occhi del sommo poeta. «La vastità, bellissima e pericolosa del Mediterraneo e l’inebriante fascino dei vino, in grado però di far perdere il controllo», è l’interpretazione di GiorgioIeranò, docente di Filologia e Letteratura greca all’Università di Trento ed esperto di mitologia greca e latina. «La stessa dicotomia che c’è anche nel dio Dioniso, pazzo e seducente, che della bevanda è l’incarnazione (ne avevamo parlato anche qui). Ecco perché nel mito, come nella realtà, il consumo del vino era termometro di civiltà. Il greco si distingueva dal barbaro perché ne conosceva gli effetti e lo beveva solo allungato con l’acqua».
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