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Davide Oldani protagonista della rassegna Talent Almanack di RobilantAssociati

21 Novembre 2011 Jessica Bordoni
«Per noi il talento è un must. È la chiave che fa girare il mondo. La nostra missione è quella di scoprire il talento di un’impresa e tradurlo in una marca forte». Con queste parole Maurizio di Robilant, proprietario della RobilantAssociati, società di brand advisory e strategic design specializzata in wine branding, chiarisce il senso del ciclo di incontri Talent Almanack - Talento, contemporaneità ed evoluzione dei costumi sociali, organizzato venerdì 18 novembre, presso la sede milanese dell’agenzia con ospiti provenienti da ambiti lavorativi differenti ma accomunati dalla stessa passione per la professione e dai grandi riconoscimenti ottenuti. Dopo l’editor Chicca Profumo, il filosofo Salvatore Natoli e il designer Stefano Giovannoni, protagonisti dei primi tre appuntamenti, questa è stata la volta dello chef Davide Oldani, mente e cuore del ristorante D’O di San Pietro all’Olmo, frazione di Cornaredo (Milano), che ha raccontato il suo intenso e fortunato percorso: dalla scuola del maestro Gualtiero Marchesi alla conquista della prima stella Michelin e soprattutto alla teorizzazione della Cucina Pop . «Bisogna avere due sogni nel cassetto, non uno solo», esordisce Oldani, «Io da ragazzo volevo fare il calciatore, ero bravo, c’era del talento in me. Purtroppo però ebbi uno scontro fisico in campo durante un torneo, mi ruppi un ginocchio e fui costretto ad abbandonare l’attività. Per fortuna c’era l’altro sogno, l’altro grande amore: la cucina. Ma qui non si è trattato tanto di merito o talento; l’arte dello chef richiede applicazione, impegno, studio, fatica». Oldani torna in dietro nel tempo per descrivere la nascita del suo locale, otto anni fa, dopo 15 anni di gavetta nelle cucine di tutta Europa. Rievoca l’esperienza con il grande Alain Ducasse al Louis XV di Montecarlo, i tempi duri ma formativi al Gravroche di Londra capitanato da Albert Roux, dove lavorava fianco a fianco con Gordon Ramsay: «Io stavo al pesce e lui alla carne e… devo dire che quello che si vede nei suoi programmi tv non è non è molto diverso da quel che succedeva tra i fornelli. I modi utilizzati da Roux non erano certo delicati ma… i risultati sono sotto gli occhi di tutti». Prosegue definendo il concetto di Cucina Pop, non popolare ma popolana, ovvero per tanti ma non per tutti, per chi ama mangiare e stare bene. Stagionalità dei prodotti, alta qualità e manualità del cuoco capace di rielaborare con competenza i piatti della tradizione italiana garantendo al cliente un costo accessibile sono i principi cardine su cui si fonda il D’O, perfetto esempio di brand vincente, «facile da comunicare, immediato da ricordare e che richiama le mie iniziali». Per il suo locale Davide Oldani ha pensato e realizzato una linea di sette piatti funzionali, inclinati lateralmente per consentire una più facile presa del cibo. Tra un paio di mesi sarà lanciata sul mercato Ecup, una tazzina progettata con Lavazza che permette una maggiore concetrazione dell’aroma, provvista di un particolare cucchiaino, Espoon, bucato centralmente per favorire lo scioglimento dello zucchero. E il vino? Gli chiediamo quale ruolo rivesta l’enologia nel suo ristorante. «Fare gli abbinamenti non è semplice ma per me il vino è fondamentale, sono un appassionato e ammetto che costituisca anche una preziosa  fonte di entrata. Al D’O qualsiasi bottiglia può essere bevuta al bicchiere. Il vino, come la cucina, deve essere pop: di alta qualità ma ad un prezzo contenuto».  

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