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Andar per fiere: quanto è ancora utile?

15 Marzo 2024 Civiltà del bere
Andar per fiere: quanto è ancora utile?

È sempre curioso pescare articoli dai primi numeri della rivista, ma talvolta è addirittura sconvolgente. La sorpresa trasmette un senso di imbarazzante immobilismo. Leggete questo commento del 1974 relativo a una fiera (a Milano) dove il vino aveva avuto un ruolo importante, salvo che qualcosa sembrava stesse cambiando per il sistema fieristico: non vi sembra che, mutatis mutandis, certi passaggi si potrebbero scrivere identici nel 2024?

Molto discusso quest’anno il padiglione vini e liquori della Fiera di Milano. Comincio a citare giudizi e osservazioni colti a volo. “C’è una baraonda di gente che alla sera ricorda solo i panini che ha mangiato”. “A noi serve per una questione di p.r., di contatti sul piano del prestigio, gli affari li facciamo attraverso la nostra organizzazione internazionale”. “La “Campionaria” ci serviva di più qualche anno fa, quando eravamo una azienda più modesta; ora i clienti ci conoscono, non aspettano d’incontrarsi ad aprile per fare ordini”. “Ormai credo che servano di più le mostre settoriali, escludendo il pubblico. In queste mostre, spinti dalla concorrenza, anche gli espositori si impegnano di più”.

Gli espositori presenti in fiera

Sono giudizi e osservazioni raccolti negli stand Strega, Ruffino, Orsolani, Orsini Import: piccoli e grandi, a questo padiglione quattordici dei vini e liquori. Per la diversità di politica aziendale, di dimensioni produttive e commerciali possono dare un’idea dell’aria che tira, anche se sono troppo pochi per trarne un test più complesso. E non è certo questa la nostra intenzione, in questo momento.
Parlo più a fondo con un ispettore alle vendite della Strega: “Quattro o cinque anni fa – dice – scrivevamo ordini tutto il giorno, adesso abbiamo visto in tutto cinque clienti e uno protestava, oltre tutto, per un presunto disguido amministrativo, un altro voleva salutarci e bere con noi; gli affari si sistemano altrove. Ma restiamo, per motivi di prestigio. Altri come Branca, Campari, Isolabella, hanno pensato che su questo piano era inutile continuare, e se ne sono andati. Stock e Buton, invece, al posto dello stand hanno preferito aprire un bar all’esterno del padiglione e vendere i loro prodotti al pubblico. Il marchio è bene in vista e ci guadagnano anche, sulle consumazioni”.

Un sondaggio per capire il sentiment

C’è chi se ne va, dunque, e chi si aggiorna, rendendosi conto che gli affari non riguardano più direttamente questa manifestazione, mentre conta e può rendere sempre bene una certa azione promozionale a largo raggio, con questa folla, che “vede” più il bar che lo stand. Perché questa discordanza? Appunto perché la funzione delle fiere di questo tipo cambia, cambiano le possibilità che esse offrono, e forse assistiamo a una evoluzione decisiva delle varie formule. Abbiamo potuto prendere visione anche di un sondaggio fatto tra molti standisti per altri motivi, in cui si facevano domande, però, su questo argomento. In grande maggioranza hanno risposto che l’anno prossimo torneranno, comunque, alla “Campionaria”. Un certo numero si è detto ancora incerto; rari, ma non da dimenticare, i no recisi. Anche questi dati non possono far testo, ma indicano che problemi di trasformazione, di evoluzione sono sentiti.

C’è chi propone l’accesso esclusivo agli operatori

“Il grande boom della Fiera dopo la guerra – mi ha detto un altro espositore – la sua opera di grande rilancio dell’economia italiana stava nel mostrare alla gente tutti i beni di consumo di cui fino allora non si conosceva quasi l’esistenza, o di cui si aveva ricordo in forme, in tipi antiquati. Ora la situazione si è capovolta, la gente ha tutto, ha modo di vedere e sapere tutto, man mano che le novità vengono fuori. Ed ecco che noi, dietro il banco dell’espositore, non sappiamo bene come regolarci vedendo sfilare questa gente, sembrano in gita, spinti da curiosità generica, non da una vera ragione di informarsi, scegliere, programmare acquisti”.
Gli argomenti si succedono; registriamo altre voci che consigliano cautela, nel pensare a nuove formule. Si può immaginare una Campionaria da cui sia escluso del tutto il pubblico generico, riservata sempre e soltanto agli operatori? Vogliamo ricordare che già agli operatori sono riservate ormai diverse giornate, che c’è in atto un tentativo di far convivere i due principi: quello selettivo e quello di massa, per quanto riguarda le persone ammesse nell’immensa città fieristica? E che questo tentativo è molto interessante, anche se molto ambizioso?
Uno senz’altro favorevole all’esclusione del pubblico generico è Orsini, citato prima: “Eliminiamo la confusione, anche perché non si può trattare di prezzi allo stesso modo con un operatore economico e con un curioso qualsiasi. D’altra parte non possiamo conoscere tutti: come regolarci con chi si presenta e vuole listini, parla di sconti? Noi stessi, sapendo di operare in un ambiente specializzato, selezionato, potremmo impegnarci di più, competere meglio”.

La calendarizzazione delle fiere specializzate

Da queste considerazioni, si passa a parlare di mostre e fiere specializzate che già esistono. Tra esse, la stessa Expo che si tiene alle Fiera di Milano, dedicata a tutte le attività del settore dell’ospitalità, e quindi anche del bere. Si parla delle varie iniziative a Genova, Verona e via dicendo.
Sono discorsi da cui affiorano altri pro e contro, per questioni di date. (Quando hanno interesse gli operatori vari di concludere i loro acquisti, ogni anno? Quali sedi si prestano di più a tutte le operazioni relative?) Forse varrà la pena di riprendere più compiutamente il discorso e approfondirlo. Anche perché – ultima osservazione ma non la meno importante – la situazione economica è quella che è, con le sue ripercussioni sulla moneta, sull’occupazione, sugli scambi con l’estero.

Rita Guidetti

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