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Cosa bevo con il paté?

10 Gennaio 2019 Marianna Corte

Prelibata ricetta per le occasioni speciali, può essere preparata come terrina o crema spalmabile. Che sia di fegato d’oca, d’anatra o vitello (alla veneziana), l’accompagnamento giusto è con un vino trentino da vendemmia tardiva.

Tra i piatti della tradizione per le feste, il paté è senza dubbio uno dei più diffusi. Difficile cercare le ragioni per cui sia entrato di diritto sulla tavola italiana delle feste, ma ormai il paté si colloca di diritto tra gli antipasti a fianco di piatti come l’insalata russa, il vitello tonnato e il meno italiano salmone affumicato.
In forma di terrina di fegato grasso d’oca (per i francesi foie gras), oppure in crema spalmabile, il paté viene proposto in diverse varianti. In ogni caso, dal punto di vista gustativo, si distingue per avere una decisa aromaticità accompagnata da nette note di grassezza e una tendenza dolce. Autentico tripudio di consistenze e profumi, il paté – o meglio sarebbe dire i paté – possono davvero rappresentare una sfida per il sommelier.

La crudeltà dell’alimentazione forzata superata dal buon senso

Prodotto raffinato, nella sua accezione francese deve il proprio prestigio ai reali, sulle cui tavole non mancava mai. E mai mancavano, fin dall’antichità, le oche alimentate forzatamente di mais per ingrassare il loro fegato fino a dieci volte di più. Un sistema crudele che si cela dietro a un nome dal suono dolce, “gavage”, che altro non significa se non ingozzamento, vietato in Italia con un Decreto del 2007. Una pratica antica le cui tracce si ritrovano già in alcuni documenti egizi e romani, per fortuna superato dal buon senso.

Anche la Lombardia ha una sua tradizione di paté

Una ragionevolezza che non ha tolto prestigio alla ricetta che anzi ne ha guadagnato in sostenibilità, senza che ne risentisse in alcun modo il sapore prelibato – delicato quando la materia prima è da oca, più deciso se il fegato grasso è di anatra. Parlare di paté di fegato, comunque, non significa solo guardare oltre confine e tantomeno solo a piatti dalla nobile tradizione. Basta spostarsi in Lombardia, in particolare in Lomellina, in quella zona compresa tra il Sesia, il Po, il Ticino e il Basso Novarese e, in particolare, nella località di Mortara, per trovare la tradizione dei prodotti d’oca legata alla presenza della comunità ebraica, e tra questi anche il fegato grasso che si fa paté.

Il paté di fegato, piatto povero ma delizioso

Bisogna però spostarsi più a nord-est, e in particolare a Venezia, per scoprire una ricetta antica, per nulla nobile e che niente ha a che fare con l’allevamento di oche o anatre. Qui si tova un piatto tradizionale e persino povero: il paté di fegato. È una preparazione molto semplice che in origine veniva realizzata per utilizzare gli avanzi del più ben noto, tipico e soprattutto povero, fegato alla veneziana che, appunto, del paté (nella foto) è la base.

Una nota gentile al calice

Raffinato dalle nobili origini quello francese, semplice e povero quello di fegato alla veneziana, i paté, così diversi per materia prima (quello alla veneziana è, infatti, preparato con fegato di vitello) condividono tra loro una buona persistenza nel piatto, una texture che, secondo Roberto Anesi, «nel calice pretende una marcata acidità, piacevole persistenza e tanta morbidezza per contrastarne la tendenza amarognola classica del fegato, seppur smorzata, nel caso del paté di fegato alla veneziana, dalla presenza delle cipolle»

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