In Italia

In Italia

Cooperative come “social network”

30 Dicembre 2010 Nicolò Regazzoni

Per fronteggiare le sfide della modernità bisogna essere competitivi e lavorare ponendosi obiettivi di carattere manageriale - Il rapporto con i viticoltori: le modalità e gli strumenti per farli sentire sempre più protagonisti - L’impegno pubblico, una realtà dalla quale non si può prescindere

In Italia le Cantine sociali rappresentano il più importante pilastro su cui si regge da un secolo il settore vitivinicolo. Per questo il mondo della cooperazione racchiude praticamente tutti i vizi e le virtù di quello del vino e nel corso degli anni ha saputo dar vita sia a casi d’eccellenza sia a strutture povere di prospettive commerciali. Per parlare di Cantine sociali, dunque, bisogna essere disposti a entrare in uno scenario complesso, all’interno del quale è impossibile individuare comportamenti univoci. «Ci sono tanti modi per intendere la cooperazione vitivinicola. Si pensi solo alla differenza che passa tra una struttura che si limita a trasformare uva per rifornire una serie d’imbottigliatori», afferma Bruno Trentini, direttore della Cantina di Soave, «e una cooperativa che opera lungo tutta la filiera, chiamata a garantire i consumatori con il proprio marchio, e spesso anche a gestire una o più denominazioni d’origine». Prima di procedere può essere utile ricordare che un’impresa cooperativa, a differenza di un’azienda privata, si pone finalità che non si esauriscono solo nel raggiungimento di un determinato  profitto, piuttosto che di una certa quota di mercato. Un’impresa cooperativa, infatti, ha obiettivi che comprendono anche scopi di natura “sociale”, connessi alla promozione di un comune interesse. E qui cominciano i problemi, perché questi obiettivi “sociali” sono spesso generici e il più delle volte si riducono alla necessità di trovare ogni anno un dignitoso sbocco di mercato per tutto il vino prodotto con l’uva conferita dai soci, finendo per alimentare pericolose tensioni di prezzo. A questo proposito si ricorda che nel mondo della cooperazione molte volte è ancora in vigore il cosiddetto principio della “porta aperta”, che rende impossibile agli amministratori di una Cantina sociale respingere senza validi motivi l’adesione di nuovi soci in possesso dei requisiti societari. A differenza delle aziende private, dunque, le Cantine sociali non possono teoricamente gestire i volumi di produzione e commercializzazione in funzione delle esigenze del mercato. «Se un privato ha giacenze importanti può decidere di limitare i suoi acquisti», spiega Raffaele Cani, direttore di Cantina Santadi, «mentre una qualsiasi cooperativa ha molta meno autonomia decisionale da questo punto di vista». A tutto ciò si aggiunga il fatto che la nuova Ocm ha di fatto eliminato gli aiuti destinati alla produzione e alla distillazione, creando non pochi problemi soprattutto al mondo della cooperazione. Fatte queste premesse, risulta evidente che in Italia le Cantine sociali si trovano davanti a un momento di svolta, che dovrà portare a profonde trasformazioni. Le cooperative di cui parliamo nelle prossime pagine si distinguono tutte per il fatto di essersi già poste da tempo gli interrogativi di cui sopra, ma molte altre corrono invece il rischio di continuare a gestire faticosamente solo il quotidiano, senza riuscire a elaborare una strategia di sviluppo di medio/lungo periodo. «Per una qualsiasi Cantina sociale», racconta Fabio Rizzoli, presidente di Mezzacorona, «è ormai indispensabile riuscire a orientare i viticoltori al mercato, anche in un’ottica internazionale, cercando di minimizzare le influenze politiche. Insomma: bisogna investire sui coltivatori diretti, che sono capaci di produrre uva di ottima qualità ma non sempre sono economicamente incentivati a farlo». Progetti di rilancio Oltre a Mezzacorona negli ultimi anni si sono mosse su questo fronte anche altre Cantine sociali, che si sono decise a individuare le aree vitate più vocate e hanno dato vita a interessanti progetti che prevedono un sistema retributivo dei soci diversificato in funzione della qualità della materia prima conferita in cantina. Il problema è che molti di questi piani, soprattutto quelli portati avanti dalle Cantine meno capitalizzate, si sono poi scontrati con la difficile congiuntura economica di questi ultimi anni, finendo spesso per deludere i viticoltori. Il rilancio della cooperazione vitivinicola italiana deve probabilmente riuscire a ripartire proprio da queste esperienze, non sempre di successo, che hanno avuto il pregio di ridare la giusta dignità alla figura del viticoltore. «Il futuro della cooperazione», afferma a questo proposito Carlo Salvadori, direttore di Agricoltori del Chianti Geografico, «è legato a doppio filo proprio alla sopravvivenza dei viticoltori, che oggi rappresentano senza dubbio l’anello debole della filiera». Della stessa idea anche Giuseppe Colantonio, responsabile marketing di Citra: «Senza il prezioso lavoro dei nostri soci non avremmo mai ottenuto il successo che abbiamo. Per questo credo sia fondamentale che ogni famiglia di un agricoltore a noi associato si senta un elemento indispensabile». Questo obiettivo, tra l’altro, è perfettamente coerente a un interessante modo di intendere la natura “sociale” della cooperazione, molto attuale e moderno. Più nello specifico ci riferiamo al fatto che i viticoltori/conferitori rappresentano per una Cantina sociale lo strumento principe per portare avanti iniziative di sviluppo sostenibile sul territorio, volte a promuovere un concetto di cooperazione che può diventare una sorta di baluardo a difesa dell’ambiente. Un tema che meriterebbe molta più attenzione da parte delle cooperative vitivinicole e che aiuterebbe a differenziarsi in maniera efficace dalle aziende private. Un altro aspetto che spesso contraddistingue le Cantine sociali italiane ha a che fare con una carenza piuttosto diffusa di competenze manageriali, in grado di gestire in maniera adeguata le politiche territoriali e di marca. «Senza un sufficiente livello di managerialità», afferma a questo proposito Sergio Dagnino, direttore generale di Caviro, «è davvero arduo riuscire a operare in maniera efficace sui mercati odierni. Considerato il costante calo del consumo procapite italiano, infatti, la crescita della Gdo negli ultimi 10 anni è avvenuta cannibalizzando il canale tradizionale e, in parte, il consumo di vino sfuso. Negli ultimi tre anni questa crescita si è arrestata e, a volume, ha addirittura invertito il segno, evidenziando la criticità di uno scaffale con troppe referenze che non ruotano. Si stima che oggi in Gdo ci siano quasi 13 mila referenze di vino nei vari formati, e questa cosa fa pensare che la probabilità di acquisto di alcuni prodotti sia assimilabile all’estrazione al lotto. All’estero il problema è diverso perché lo scaffale ha sì molte referenze, ma dovute alla presenza di diversi Paesi produttori mondiali; in questo caso l’Italia è la più debole per tre fattori: nanismo delle aziende, rapporto qualità-prezzo non ottimale e inaffidabilità/discontinuità nel caso di fluttuazioni dei prezzi». Insomma, lo scenario competitivo non è certo roseo e uno dei cambiamenti che oggi viene più frequentemente chiesto alla cultura cooperativa è quello di riuscire a passare dall’obiettivo di salvaguardia del reddito agricolo al successo economico dell’impresa. «Per essere competitiva una Cantina sociale deve puntare su quelle che noi chiamiamo le tre I: integrazione, innovazione e internazionalizzazione», ribadisce Colantonio di Citra. La maggiore diffusione di competenze manageriali nel mondo della cooperazione vitivinicola potrà tra l’altro facilitare anche un ulteriore consolidamento tra Cantine sociali. «Non esiste purtroppo un’unica regola valida per riuscire a venire fuori da questa difficile congiuntura di mercato», afferma Fabio Rizzoli, «ma sicuramente la strada delle fusioni e acquisizioni va guardata con la dovuta attenzione. L’importante è che questo tipo di operazioni vengano studiate con cura, e che un’eventuale fusione possa davvero aiutare due Cantine a eliminare inefficienze, piuttosto che ad aumentarle». Scelte strategiche Gli fa eco il professor Alessandro Sinatra dell’Università Bocconi di Milano, che in un suo scritto afferma che “per potersi confrontare con la concorrenza e assumere una posizione di rilievo, l’impresa cooperativa deve accettare logiche di crescita dimensionale confrontabili a quelle che avvengono sul mercato”. In questi ultimi anni, in realtà, le Cantine sociali italiane sono state teatro di svariate acquisizioni e fusioni, e non è detto che in futuro si ritorni a parlare anche di strumenti alternativi di fare impresa, con l’obiettivo di dar vita a società di tipo diverso dalle tradizionali cooperative. «Fino a pochi anni fa», continua Fabio Rizzoli, «si riteneva che l’impresa cooperativa singola non potesse spingersi oltre certi limiti dimensionali e che, per realizzare ambizioni più ampie, l’unica strada percorribile fosse quella dell’aggregazione attraverso consorzi di secondo grado. Oggi invece la possibilità di dar vita a integrazioni tra società cooperative e società di capitali rappresenta un’alternativa che è stata sperimentata con successo in più occasioni: a questo proposito la sfida consiste nel riuscire a costruire strutture che consentano di mantenere i vantaggi dell’essere Cantina sociale, acquistando nel contempo l’accesso alle risorse finanziarie e la flessibilità dell’impresa privata». Eventuali integrazioni tra cooperative e privati potrebbero dunque aiutare non solo a ottenere una maggiore massa critica sui mercati, ma anche a svecchiare i suoi processi decisionali. «Attualmente uno dei maggiori punti di debolezza del sistema cooperativo», conferma a questo proposito Adriano Orsi, presidente di Cavit, «sono i tempi che servono per affrontare le realtà di mercato. Tempi che a volte possono essere più lunghi rispetto ad altre realtà organizzative». Una cosa è comunque certa: quei principi solidaristici e democratici che il legislatore aveva individuato nell’immediato dopoguerra per ispirare la nascita delle società cooperative non sono più sufficienti per riuscire a competere alla pari con le aziende private sui mercati mondiali. La mutualità, intesa come “il fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero sul mercato”, deve necessariamente lasciare il posto a un sistema più articolato di obiettivi, in grado di coniugare sostenibilità economica e ambientale alla capacità di remunerare in maniera adeguata i soci. «Questo tema è stato oggetto di grandi confronti», conclude Adriano Orsi, «e la soluzione auspicabile potrebbe essere quella di creare una politica di filiera produttiva e distributiva più armonizzata, che consenta a tutti gli attori di ricevere remunerazioni giuste e adeguate, e che allo stesso tempo permetta al consumatore finale di poter fruire di prodotti di qualità a prezzi accessibili».

In Italia

Il Trebbiano d’Abruzzo sta voltando pagina

Un breve viaggio nella regione ci ha consentito di conoscere alcuni paladini […]

Leggi tutto

Vini di Montagna (10): la Val di Cembra – seconda puntata

Per favore Accedi per vedere questo contenuto. (Non sei registrato? Registrati!)

Leggi tutto

L’Antica Bottega del Vino apre a Cortina in occasione dello Olimpiadi

Lo storico locale veronese, di proprietà di 10 Famiglie Storiche, sarà la […]

Leggi tutto

Tenuta San Guido e CNR: un accordo per la tutela del Viale dei Cipressi di Bolgheri

Un programma quinquennale monitorerà la salute degli alberi, reintegrando quelli compromessi con […]

Leggi tutto

Simply the best 2025, i protagonisti della settima edizione

Il 10 marzo il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano […]

Leggi tutto

Top Guide Vini 2025: l’unanimità solo sui classici e le altre peculiarità dei giudici

Tra le 2.643 etichette entrate nella nostra superclassifica, tre hanno visto convergere […]

Leggi tutto

Vinchio Vaglio: ode alla Barbera d’Asti

La cooperativa, che oggi riunisce quasi 200 soci e 500 ettari vitati, […]

Leggi tutto

I have a dream. Il sogno utopico di un mondo del vino all’insegna dell’alleanza

Per favore Accedi per vedere questo contenuto. (Non sei registrato? Registrati!)

Leggi tutto

74.99.41: dal 1° aprile anche i sommelier hanno il loro codice Ateco

Come spiega il presidente dell’Aspi Giuseppe Vaccarini, “grazie a questa novità, la […]

Leggi tutto
X

Hai dimenticato la Password?

Registrati