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Come cambia il modo di comunicare il vino? Riflessioni dalla stampa estera

27 Gennaio 2021 Anita Franzon
Come cambia il modo di comunicare il vino? Riflessioni dalla stampa estera

Il modo di comunicare il vino, come qualsiasi altro argomento, è molto cambiato negli ultimi anni. Dall’approccio da studioso e divulgatore di un personaggio come Howard Goldberg, recentemente scomparso, si è passati a un racconto più immediato tramite blog e influencer. Con tutte le diffidenze e le perplessità che questi nuovi mezzi e figure si portano dietro.

Se ne è andato a inizio 2021, all’età di 86 anni, lo scrittore e critico del vino per il New York Times Howard Goldberg. Lo ricorda su Wine Spectator Bruce Sanderson, che scrive di lui: “Goldberg era un giornalista della vecchia scuola, un veterano del Times (…), dove ha iniziato a scrivere di vino nel 1984. Lo incontrai la prima volta nel 1990 all’International Wine Center (IWC) di New York”.

Il ricordo di Howard Goldberg

Qui lo incontrò spesso Mary Ewing-Mulligan, direttrice dell’IWC e prima donna del Nord America a diventare Master of Wine, che lo ricorda come un giornalista umile e dalla forte etica. “Credo che si considerasse uno studioso di vino piuttosto che un qualsiasi tipo di autorità”. Anche Tony DiDio, fondatore di Tony DiDio Selections sottolinea la grande competenza e i toni gentili dello scrittore scomparso. “La sua conoscenza enciclopedica del vino lo distingueva dalla maggior parte dei giornalisti perché viaggiava in coppia con l’onestà e la passione”. Sebbene avesse smesso di lavorare per il New York Times nel 2004, Goldberg continuò a scrivere di vino anche successivamente.

Luci e ombre sul nuovo modo di comunicare il vino

Scrive Anne Burchett, specialista in Comunicazione e Marketing del vino, sul sito del Master of Wine Tim Atkin: “Un tempo la comunicazione scritta del vino era senza fronzoli. Si parlava di vino e poco altro (…) e si lottava per tenere gli occhi aperti durante la lettura”. Quando è arrivato internet, non tutti credevano che avrebbe portato una rivoluzione eppure, continua l’autrice dell’articolo, “internet ha reso globale la comunicazione del vino. Ora leggo regolarmente tweet, post di blog e articoli da tutto il mondo”. Occorre, però, analizzare luci e ombre del fenomeno, perché, sempre secondo Burchett, da una parte “i blogger hanno portato un’enorme energia alla categoria”; dall’altra “hanno iniziato a sostenere soprattutto i piccoli coltivatori. Amo le storie di vino e non posso negare che le piccole Cantine abbiano più potenziale di PR rispetto alle grandi. Queste ultime però sono essenziali e offrono opportunità di carriera a persone che non hanno avuto la fortuna di nascere ai piedi di una vigna”.

Il fenomeno degli influencer

Allo stesso modo, anche il più recente fenomeno degli influencer avrebbe vantaggi e svantaggi. “Per quanto possano essere irritanti per una generazione più anziana che ha dovuto lavorare sodo per imparare il suo mestiere (e non ha un fisico invidiabile), gli influencer sembrano funzionare tra un pubblico più giovane. Conoscere il tuo pubblico e offrire ciò che desidera è una delle basi del marketing. Io non faccio parte di questa generazione e i post che contengono più emoji e hashtag di parole mi lasciano sconcertata; ma se funzionano e promuovono i vini a un pubblico più ampio, sono d’accordo” spiega l’esperta. La Burchett conclude così il suo ragionamento: “Adoro guardare cosa sta succedendo nel mondo del vino. Allo stesso modo in cui i blog sono fioriti e scomparsi – solo quelli veramente utili sono sopravvissuti – credo che gli influencer minori di Instagram scompariranno lasciando spazio solo a chi ha un pubblico genuino e un’etica del lavoro”.

Per qualcuno i wine influencer sono una “piaga”

“Anche il Covid non può fermare l’infestazione dell’autopromozione spudorata di un influencer sui social media”. A scriverlo su wine-searcher è James Lawrence, che accusa gli influencer di “autentica falsità”. Il giornalista non risparmia dunque le critiche a questa nuova categoria di comunicatori del vino spiegando così la sua affermazione: “Il contratto di inganno tra consumatore e influencer è quasi totalmente sprecato per l’industria del vino. Le sue vittime vogliono essere ingannate, aderire a uno stile di vita falso che la maggior parte di noi non potrà mai raggiungere e incoraggia una delle patologie sociali più distruttive: l’illusione. Quindi, la cultura degli influencer è semplicemente una mutazione di un virus preesistente: il bisogno ossessivo di sperimentare indirettamente ciò che non si può ottenere di persona attraverso le celebrità”.

Un modus operandi non adatto al vino

Secondo Lawrence questa formula è efficace quando applicata all’industria cosmetica, della moda o dei viaggi, ma: “la vinificazione è un’attività noiosa, priva di eccitazione visiva degna di documentazione”. E così racconta di come, durante un viaggio stampa in cui il giornalista era entrato in contatto “con un membro della specie degli influencer”, quest’ultimo sia stato spinto dall’organizzatore del viaggio a scattare foto solamente di ristoranti e vigneti per “vendere un determinato stile di vita o, in altre parole, vendere di tutto tranne il vino”.

Foto di apertura di A. Burden

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