Qual è la filosofia produttiva che sta alla base della particolare longevità del Verdicchio Classico Superiore Cuprese? «Colonnara (importante realtà cooperativa di Cupramontana, n.d.a.) ha sempre creduto nel Verdicchio – ci racconta la pierre della cantina, Daniela Sorana. Fin dal 1985, prima annata del Cuprese, si è deciso di conservarne le migliori annate, ritenute idonee all’invecchiamento. Ciò è stato dettato dalla curiosità di verificare le potenzialità del vino con l’elevazione in bottiglia. Quindi il fine del Cuprese, specie all’inizio, non era strettamente commerciale ma didattico, anche perché il mercato non era (non è?) ancora pronto a recepire vini bianchi invecchiati. Va però detto che ormai teniamo a listino svariate annate di questo vino, acquistabili da appassionati e ristoratori».
Quali le annate memorabili? «Direi la 1988, ormai esaurita, nostra annata del cuore. Poi la 1991, ’94, ’95, ’97, ’99, ’02, ’03 e 2004». Qual è il suo segreto? «La combinazione vitigno/terroir è cruciale. I terreni di Cupramontana sono leggermente calcarei, ricchi in potassio e poveri in sostanze organiche: la loro composizione tende a smorzare l’esuberante vigoria del Verdicchio e ad amplificarne le potenzialità genetiche, così da ottenere vini ricchi di estratto, dall’alcol equilibrato e con importanti polifenoli; inoltre l’elevata altitudine (400-500 m slm) e il particolare microclima permettono alle uve di conservare fino alla vendemmia una buona acidità, a beneficio di freschezza e durevolezza. Sino al 2004 si è utilizzata, per il Cuprese, la tecnica dell’iperossidazione, consistente in una forte areazione dei mosti allo scopo di ossidare e poi di allontanare con il successivo debourbage tutte le sostanze facilmente ossidabili e quindi instabili, ottenendo così vini molto stabili ed espressivi con l’invecchiamento».