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Coadiuvanti di processo, il dibattito si accende

27 Ottobre 2021 Riccardo Oldani
Coadiuvanti di processo, il dibattito si accende

L’edizione 2021 Codex Oiv indica 66 coadiuvanti di processo consentiti nelle pratiche vinicole. Ma se finora questa definizione ha consentito di non indicare tali sostanze in etichetta, in futuro non sarà necessariamente così. Lo dimostra l’attenzione che la Commissione Europea sta dedicando al tema.

Sono 66, minuziosamente elencati e indicati dall’Oiv, l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino nel suo Codice internazionale delle pratiche enologiche (un documento liberamente scaricabile da tutti a questo link). Si tratta dei cosiddetti “coadiuvanti di processo” (o “processing aids”); sostanze impiegate nelle varie fasi di produzione del vino che non sono ingredienti di per sé, ma semplici agenti che consentono di effettuare determinati passaggi di lavorazione.

Derivati da latte, pesce, funghi

Per intenderci, in questa lista di sostanze è compreso, per esempio, il carbonato di calcio, usato come “disacidificante” del vino, così come il cloruro di ammonio, impiegato per attivare la fermentazione. Vi è incluso il caseinato di potassio, ricavato dal latte scremato, che serve alla chiarifica, e anche l’isinglass, un collagene simile alla colla di pesce, anch’esso usato per schiarire vini bianchi o rosé. Nell’elenco figura la cellulosa, impiegata per la filtrazione, così come il chitosano, un polisaccaride ricavato da alcuni funghi che serve a eliminare lo sviluppo di microrganismi indesiderati.

Un dibattito aperto

I coadiuvanti di processo, negli ultimi tempi, sono sempre più al centro del dibattito sull’etichettatura del vino, che una crescente quota di consumatori vorrebbe più dettagliata ed estesa a tutte le sostanze utilizzate nella produzione e non soltanto agli allergeni, come dispone oggi la normativa europea. I motivi del contendere sono essenzialmente due.

In etichetta anche se non ce n’è traccia?

Da un lato si discute se si debbano indicare in etichetta sostanze di cui non resta (o non dovrebbe restare) alcuna traccia nel prodotto finale, perché usate solo come agenti di processo. Che senso avrebbe segnalare l’impiego di azoto se serve solo per l’imbottigliamento ed è un gas inerte, che non reagisce con alcun componente del vino? Del resto, i batteri lattacidi, come quelli dei generi Oenococcus, Leuconostoc, Lactobacillus e Pediococcus, sono considerati coadiuvanti di processo, perché innescano la fermentazione malolattica. Ma la loro azione nel vino può portare alla formazione di minime quantità di ammine biogene, sostanze che possono avere azione tossica e che da alcuni sono indicate come la vera causa di alcune forme di intolleranza al vino, come i mal di testa finora attribuiti ai solfiti. In virtù della loro azione questi batteri dovrebbero quindi essere segnalati o meno in etichetta? Sì secondo certi gruppi di consumatori, rappresentati per esempio dalla campagna In Vino Veritas. No secondo molti produttori.

Ingredienti oppure no?

Altro argomento di confronto riguarda la classificazione in additivi o come coadiuvanti di processo di certe sostanze, perché a volte il confine è molto labile. Sul tema si sta focalizzando la discussione in ambito comunitario.
Il problema è infatti armonizzare quanto indicato dall’Oiv, l’organismo scientifico di riferimento per il settore vinicolo, con le normative europee per gli altri alimenti. In una riunione sul tema dello scorso febbraio ci si è concentrati su alcuni punti. Un esempio riguarda l’anidride carbonica aggiunta ai mosti per conservarli meglio o impiegati nella fase di imbottigliamento. Come va considerata? Secondo i produttori italiani serve alla produzione e non è un ingrediente; di parere opposto sono la Commissione Europea o altri paesi, come la Svezia. Al momento si è deciso di non modificare le indicazioni di Oiv, che definiscono la CO2 un agente di processo, ma il tema resta, chiaramente, aperto.

La questione degli zuccheri

Un ulteriore tema bollente e annoso dibattuto in quella riunione riguarda l’uso di zucchero, che in qualsiasi alimento che non sia il vino viene indicato in etichetta come un ingrediente. La Commissione Europea ha osservato che l’impiego di saccarosio derivato da uva è, a tutti gli effetti, un’aggiunta di zucchero vera e propria. Alcuni Paesi produttori, d’altro canto, fanno notare che con zucchero d’uva si intende il mosto concentrato, che è un prodotto vinicolo di per sé, e rientra quindi nel processo generale di produzione del vino. L’indicazione finale della Commissione è stata di mantenere la decisione dell’Oiv; di non dare cioè allo zucchero alcuno status, né di ingrediente né di agente di processo.

Un tema ineludibile

Ma anche in questo caso le discussioni non sono certo finite, perché gruppi di consumatori o di produttori di vini “naturali” spingono per introdurre in etichetta la dicitura “zuccheri aggiunti”, siano questi introdotti con pratiche ammesse in Nord Europa coma la “chaptalisation” (aggiunta di zucchero di canna o di barbabietola) oppure impiegando i mosti concentrati, come avviene in Italia dove lo zuccheraggio è vietato. La classificazione tra additivi e coadiuvanti di processo, quindi, per quanto utile in pratica sembra destinata negli anni a venire a essere rivista. E non si tratterà soltanto di una questione teorica, perché avrà conseguenze pratiche sull’etichettatura. Il fatto che a livello comunitario si dibatta animatamente di questi argomenti è già, di per sé, un’indicazione del cambiamento dei tempi. I produttori sono avvertiti, meglio prepararsi.

Foto di apertura: le 66 sostanze indicate da Oiv come coadiuvanti di processo potrebbero, prima o poi, essere soggetto all’obbligo di indicazione in etichetta. Il tema è ampiamente dibattuto in Europa © D. Vogel – Unsplash.

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