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Chateau Musar: impegno straordinario in Libano nonostante le guerre

29 Ottobre 2010 Civiltà del bere
Come da aspettative uno degli eventi più suggestivi e seguiti dagli amanti del vino al Salone del Gusto 2010 è stato l'incontro-degustazione con Serge Hochar, proprietario di una storica cantina libanese che produce lo Chateau Musar, una delle principali etichette del Paese dei cedri, riconosciuta anche a livello internazionale. Più rinomati  i rossi che i bianchi, tanto da non temere confronti con i più blasonati Chateau bordolesi. Il titolare dei vigneti che si estendono per 180 ettari nei pressi di Ghazar, nella valle della Bekaa (30 km dalla capitale Beirut), ha fornito ai partecipanti la possibilità pressoché unica di assaggiare Chateau Musar White. Un blend ottenuto da uve autoctone millenarie dei Monti libanesi e della valle della Bekaa chiamati Obaideh e Merwah. La leggenda vuole che furono portati dai Crociati quando tornarono dall'Europa e probabilmente sono rispettivamente gli antenati dello Chardonnay e del Semillon. Una verticale di cinque annate 1961, 1969, 1989, 1995 e 2000, che ha permesso di fare un percorso nella storia dei cinquant'anni della cantina libanese, da quando Serge Hochar ne ha preso le redini nel 1959, e che soprattutto ha permesso ai numerosi appassionati di cogliere a pieno le potenzialità, ancora poco conosciute nel nostro Paese, di questo vino. Il fulcro enologico libanese e in particolare di Chateau Musar consiste proprio nei metodi di produzione avanzati, fermentazione alcolica e malolattica con lieviti naturali in parte in barrique di rovere francese e in parte in acciaio, e nella grande attenzione alla resa ettaro per ettaro, privilegiando sempre la qualità. Vitigni a piede franco, liberi e con foglie che proteggono il grappolo d'uva. Determinante poi la data di inizio della vendemmia che in questo caso è posticipata nel periodo ottobre-novembre proprio per il particolare microclima della area della Bekaa. Temperatura mai superiore ai 25 gradi e soprattutto una quasi totale assenza di pioggia nel periodo vegetativo della vite. Sono le nevi che si sciolgono dalle vicine catene montuose dell'Atlas e dell'anti Atlas a mantenere vivo il terreno. Il via alle danze della degustazione, guidata da Serge Hochar e Luca Gargano, importatore per l'Italia di Chateau Musar, lo hanno dato le annate del 1969 e del 1989. Pensando agli anni del primo vino poteva venire qualche dubbio sulla sua reale bevibilità, al primo assaggio in bocca invece, ha dimostrato tutta la sua vivacità, anche superiore ad annate molto più recenti come quella del 2000. A ulteriore  dimostrazione di come siano vini dotati di una grande capacità di cambiamento e di vita. Questo si spiega con il fatto che una delle potenzialità dei vini libanesi è proprio l'ottima capacità di invecchiamento, motivo per cui a volte sono le stesse aziende ad aspettare diversi anni prima di commercializzare le bottiglie. Come ha spiegato il patron della cantina libanese durante la degustazione, le dimensioni del vino assumono maggiore rilievo proprio sulle annate più antiche. «È come il cervello umano», ha sottolineato Serge Hochar, «ha più storie da raccontare». Molto particolare anche l'annata 1989. In primis per il suo contenuto.  Un vino bianco, secco, di grande struttura, minerale ed estremamente originale. Particolarmente adatto in abbinamento a fois gras, formaggi o addirittura a fine pasto come digestivo. Ma l'89 è un'annata molto particolare perché legata all'ultimo rigurgito della prima guerra del Libano con Israele. Nell'analisi del panorama vitivinicolo libanese non vanno mai, infatti, dimenticate le innumerevoli difficoltà che negli ultimi cinquant'anni hanno dovuto affrontare, a causa dei continui conflitti con i Paesi confinanti. È stato lo stesso Hochar a raccontare un aneddoto vissuto proprio durante i bombardamenti israeliani su Beirut, città dove tutt'oggi vive. «Per sei mesi sono stato costretto a non uscire di casa e ogni giorno bevevo mezza bottiglia di Chateau Musar», ha svelato il proprietaro della storica cantina libanese, «e più passava il tempo più scoprivo una qualità diversa». Neanche le guerre dunque hanno saputo fermare Hochar e le sue produzioni, tanto che dal 1959 ad oggi ha perso solo tre vendemmie per motivi bellici. Proprio per questo, nel 1984, la prestigiosa rivista vinicola Decanter, lo ha insignito della nomina di miglior uomo del vino dell'anno, per il suo impegno straordinario nel continuare a produrre vino nonostante i difficili anni della guerra. Al termine della degustazione guidata, Serge Hochar si è concesso a taccuini e fotografi e ha rilasciato a Civiltà del bere un'intervista in esclusiva su alcune delle tematiche più interessanti che riguardano in prima battuta lo Chateau Musar e in generale il panorama vinicolo libanese. Gli abbiamo chiesto se l'enologia occidentale abbia influenzato le etichette libanesi e se esiste una comunanza con terroir più rinomati. «Il mio Paese è stato un grande predecessore nel mondo del vino», ha commentato Hochar, «già 6 mila anni fa con i Fenici grazie a un mix tra la cultura libanese e quella mediterranea. Inoltre lo Chateau Musar ha una sua peculiarità che non è riscontrabile in nessun altro vino della valle della Bekaa. Infatti molti vini si assomigliano perché vengono realizzati con lo stesso lievito, che è lo sperma dell'uva. Noi invece analizziamo ogni singolo ettaro perché al suo interno ci possono essere centinaia di migliaia di lieviti». Abbiamo parlato del mercato della sua azienda e da dove arrivano le maggiori richieste per le sue etichette. «È incentrato prevalentemente sull'export, e le piazze che vanno per la maggiore sono sicuramente l'Europa e il Regno Unito, anche se non va dimenticata la realtà americana che ci da' grandi soddisfazioni». La realtà politica è complessa e frammentata in Libano e gli abbiamo domandato come si sta comportando il governo libanese nei confronti dei produttori vinicoli e quali strategie sta adottando. «Da qualche anno aziende e governo stanno remando dalla stessa parte, infatti il numero dei produttori è passato da 20 a 40. L'obiettivo comune è quello di promuovere il vino libanese nel mondo». Per concludere, vista la sua attenzione alla produzione naturale del vino, gli abbiamo chiesto se ci è possibile affermare che egli abbia adattato la filosofia Slow Food alle sue etichette prima ancora che nascesse l'associazione fondata da Carlo Petrini. «L'armonia della natura è più importante di qualsiasi prodotto costruito. Ho sempre pensato che fosse importante bere ciò che è vero e non ciò che è buono. In un certo senso quindi si può dire che gli Chateau Musar degustati in questa sede sono vini slow, anche se alcuni sono stati fatti cinquant'anni fa».

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