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Cappone, prelibatezza immancabile sulle tavole delle feste

19 Dicembre 2020 Giovanni Caldara
Cappone, prelibatezza immancabile sulle tavole delle feste

Quello di Marozzo è sicuramente il più famoso ed è stato il primo Presidio Slow Food italiano. Dietro al cappone c’è una lunga tradizione e oggi molti chef, come Pierantonio Rocchetti e Simone Breda, tornano a misurarsi con questa carne difficile da lavorare, ma che dà grandi soddisfazioni.

Non scordiamoci affatto di quell’annotazione dell’Artusi – valida ieri, oltre un secolo fa, ma così attuale pure oggi – che, a proposito del cappone arrosto e tartufato, parlava di come la cucina avesse tutto il diritto di essere “estrosa”, come dicono i fiorentini, in modo tale che “le pietanze si condizionino in vari modi secondo l’estro di chi le manipola”.

Una questione di sapore

E, tuttavia, metteva in guardia il padre della moderna gastronomia italiana. Quando si maneggiano quelle carni prelibate l’obiettivo principale resta quello di “non perdere mai di vista il semplice, il delicato e il sapore gradevole”. Precetto da tenere a mente anche ora che sulle tavole delle feste è pronto a fare il suo ingresso trionfale il nostro signor cappone.

L’eccellenza di Morozzo

Prendiamo allora, a mo’ di esempio, quello di Morozzo. Sul sito internet del Consorzio che lo tutela campeggia orgogliosa la scritta: Il primo Presidio Slow Food. Correva l’anno 1999 e quel “galletto castrato chirurgicamente prima d’aver raggiunto la maturità sessuale e macellato a un’età di almeno 220 giorni”, dal piumaggio lucente e variopinto e un peso che varia dai 2 ai 3 chili, veniva indicato come esempio di eccellenza da valorizzare e difendere.

Caratteristiche imprescindibili

Dei 31 allevatori iniziali si passò ai 40 attuali. Dai 300 capponi di Morozzo allevati nel 1999 ai 3.000 in soli tre anni dopo. Segno di riconoscimento verso una tradizione – autentico patrimonio culturale – che premia un lavoro lungo e paziente. Nei primi giorni la dieta dei pulcini è solo con mangime vegetale. Quindi i galletti, poi capponi, vengono lasciati liberi disponendo di almeno cinque metri quadrati all’aperto durante il giorno. Pronti, come ingredienti d’eccellenza, a diventare sfida, con le loro morbide, tenere e delicate carni, tra le mani fatate di agguerriti chef stellati.

Cappone farcito di Pierantonio Rocchetti

La proposta dello chef Rocchetti

«Il vero banco di prova per un cuoco che si misura con il cappone è conferirgli una struttura», spiega lo chef stellato Pierantonio Rocchetti del ristorante Loro di Trescore Balneario (Bergamo). Un cuoco sapiente, che per il cappone nutre una vera passione che si rinnova di anno in anno. «Se si sbaglia a cucinarlo la carne diviene asciutta. Il cappone ha muscolo perché si muove e non resta in gabbia. Dunque, rispetto al pollo, possiede un gusto più pronunciato. La sua caratteristica pelle d’oca, così spessa e grassa, gli conferisce durante la cottura la giusta succulenza. Io lo farcisco con foie gras, tartufo nero e castagne. Lo cuociamo a freddo in forno per un’ora e mezza girandolo ogni 20 minuti e lo serviamo con vegetali poco grassi come il cavolo nero». Un piatto che accompagneremo a un vino rosso nobile e di grande importanza come il Pinot nero Noir di Tenuta Mazzolino.

Raviolo di cappone in brodo di minestra sporca di Simone Breda

Il Raviolo di cappone in brodo di Simone Breda

L’indimenticabile scena di Renzo Tramaglino, che nei Promessi Sposi si reca dall’Azzeccagarbugli portando in dono quattro capponi a testa in giù e legati per le zampe, ci àncora a una fortunata consuetudine antica con questo pregiato animale da cortile. Tradizione che un altro chef stellato, Simone Breda, del ristorante Sedicesimo Secolo all’interno delle scuderie d’un antico castello a Orzinuovi (Brescia) trasfigura nel suo “Raviolo di cappone in brodo di minestra sporca”.

Petto, coscia, ma anche carcassa e frattaglie

Un piatto da gustare insieme a un vino raffinato e altrettanto classico come il Nebbiolo d’Alba Roccheri di Marchesi di Barolo: «È un piatto che ruota tutto attorno al cappone, con il petto e la coscia, parti pregiate, che finiscono nella farcia», precisa lo chef Breda. «Ma senza dimenticare la carcassa, da cui ricavo il brodo tipico delle feste e il suo fondo, ma anche le frattaglie arrostite che al piatto donano ancora più spessore».

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