La Gran Bretagna è uno sbocco di serie A per il food and beverage italiano. È il quarto mercato estero dell’industria alimentare italiana. E nel settore enologico fa ancora meglio: raggiunge il podio, col terzo posto assoluto. Per di più, il Regno Unito ha mantenuto negli ultimi anni tassi di espansione superiori alla media-mondo, in campo sia alimentare sia enologico.
Qualche numero..
Vediamo nello specifico la dinamica del vino. Nel 2007 (ultimo anno pre-crisi) l’export dei vini nazionali oltre Manica raggiunse la quota di 473,5 milioni di euro. Nel 2015 ha toccato i 753,3 milioni. Ne esce un +59,2%, premiante rispetto al +56,4% segnato in parallelo, su questo mercato, da tutto il food and beverage del Paese. Può essere utile ricordare che nel 2015 il vino ha staccato, nell’ordine: la trasformazione degli ortaggi, con 359 milioni (+41,4% sul 2007); la pasta, con 332 milioni (+55,3%); il dolciario, con 292 milioni (+54,9% sul 2007); il lattiero-caseario, con 209 milioni (+45,1%); le carni preparate, con 161 milioni (+45,1%). Insomma, il vino ha primeggiato, non solo come quota assoluta, ma anche come passo mantenuto nel tempo.
Il referendum meteorite
In questo contesto di eccellenza, il 23 giugno scorso, è caduto il meteorite Brexit. Con una scia (come tutti i meteoriti) davvero complessa e con conseguenze che stanno analizzando i centri studi di mezzo mondo. Certo, la capacità di seduzione della Comunità è ai minimi termini in questo periodo. Ma va pure detto che il voto, per l’elettorato britannico, è stato “di pancia” e non “di testa”. Il fattore che ha deciso l’esito della votazione è stato l’età. Nelle 382 circoscrizioni elettorali il leave è stato preferito dal 60% degli over 65 e dal 56% dei 45-64enni. Gente che vede spesso la storia con lo specchietto retrovisore. Mentre hanno scelto il remain il 73% dei 18-24enni e il 62% dei 25-34enni. Il problema è stato che i giovani hanno partecipato assai meno al voto, per cui la lancetta ha piegato dove sappiamo.
"Ormai la frittata è fatta"
Ricordiamo anche che un mese prima, a maggio, il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, aveva dichiarato che, dall’analisi di tutti i modelli e scenari possibili, non esisteva un solo elemento a favore della Brexit, le cui conseguenze potevano essere solo cattive o pessime. Ma non è bastato. Ora la frittata è fatta. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) prevede per il Regno Unito una minore crescita di un punto e mezzo di Pil, da qui al 2018. Mentre l’ impatto medio per le economie europee è calcolato, in parallelo, in un punto circa, di cui 0,4 legati direttamente agli shock finanziari trasmessi dal Regno Unito (incluso il deprezzamento della sterlina).
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 05/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!