I commenti

I commenti

Bordeaux 2016, la svolta: vince il partito “moderato”

28 Luglio 2017 Luciano Ferraro
“Vino all’alba / Il lungo / Torpore piovoso”. Jack Kerouac, lo scrittore dannato della Beat Generation, non avrebbe scritto oggi questi tre versi alla giapponese nel suo Il libro degli haiku. Era il 1956 quando iniziò a raccogliere poesie in un piccolo block-notes. Allora il vino californiano non era stordente, il grado alcolico era molto inferiore di quello attuale, arrivando ai 12 gradi negli anni Settanta e sfiorando poi i 15 dai primi anni Duemila. Con questa potenza Kerouac avrebbe forse sostituito il terzo verso, preferendo “stordimento nebbioso” a “torpore piovoso”.

Finisce l'era dei vini muscolosi

Il dibattito sull’eccesso di alcol in rossi e bianchi prosegue senza effetti da una dozzina d’anni. La novità è un report da Bordeaux di Jancis Robinson, Master of Wine britannica con rubrica sul Financial Times. Jancis spiega che i produttori di quella zona sono sicuri: “L’era dei vini con il 15% di alcol è finita. È il momento di vini più leggeri e freschi”. Il fenomeno si può spiegare con il principio di reazione svelato da Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Più le vigne si scaldano per effetto dei cambiamenti climatici favorendo l’innalzamento del grado alcolico, più il palato collettivo cerca sollievo nella bevibilità di vini che dissetano, e guarda con meno entusiasmo a quelli che incorporano (e producono) calore solare.

Voglia di freschezza

Bordeaux assomiglia sempre di più, quanto a clima, alla Toscana di qualche decennio fa. Dominique Arangoits, direttore di Château Cos d’Estournel, ha raccontato alla Robinson di aver “dovuto imparare in meno di una generazione un nuovo modo di fare vino”. Prima si toglievano le foglie delle viti per dare via libera ai raggi solari, ora si rischia che il sole bruci l’uva. A Château Cos c’è stata una presa di coscienza del fatto che “i consumatori cercano vini più rinfrescanti”. Il risultato è una svolta produttiva. Robinson la spiega così: “Più rese in modo da ritardare la maturazione e raggiungere l’equilibrio. Il punto di arrivo delle rese è stato fissato in 45 ettolitri per ettaro”. Il risultato è che nella degustazione dell’annata 2016 i vini sono risultati “più freschi, più leggeri e più precisi” e nessuno, tra i produttori, si vanta più delle rese basse.

Anche in Italia si apre il dibattito

Uno spostamento di prospettiva che è stato in qualche modo favorito dal meteo: il lungo periodo siccitoso, da giugno a settembre 2016, ha rallentato la maturazione delle uve. A Château Cos i gradi si sono fermati a 13,07, in altre aziende anche sotto questo livello. È un fenomeno, questo di Bordeaux 2016, del quale devono tener conto soprattutto i vignaioli italiani che guardano alla Francia come un faro per i grandi rossi. Bordeaux dimostra che l’innalzamento alcolico non è ineluttabile, che è possibile intervenire per fermarne la corsa, perché la concentrazione eccessiva può diventare un freno all’eleganza e rendere così ostico il vino.

Alcolicità fa sempre rima con autenticità?

Il partito dei difensori della legittimità dell’alcol elevato nel vino italiano è tutt’altro che in declino. La prima tesi del partito dell’alcol libero è che i vini con alta gradazione, se la vendemmia è avvenuta al momento giusto e non sono stati commessi errori in cantina, non perdono bevibilità ed equilibrio. La seconda tesi è che per ridurre l’alcol si dovrebbero usare strumenti tecnologici da laboratorio, che fanno a pugni con l’autenticità. In fondo, si sostiene, ogni bottiglia deve raccontare la terra da cui proviene: e se la terra è più calda, il vino non potrà che trasmettere la sensazione di questo calore.

Il dibattito in corso

Il pensiero-guida di questo partito è di Luigi Veronelli che, a proposito del grado alcolico dei vini, sosteneva: “Ma lei chiederebbe l’età a una bella signora? Se è bella che importanza ha?”. Impossibile, comunque, ignorare la svolta del Bordeaux 2016. A meno che ai versi dannati di Kerouac sul vino non si preferiscano quelli noiosi e sobri: “Da solo, a casa, leggo / Yoka Daishi, / E bevo tè”.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 3/2017. Per leggere la rivista acquistala sul nostro store (anche in formato digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

I commenti

Una rivoluzione per la civiltà

Nell’editoriale del primo numero cartaceo del 2025 di Civiltà del bere, il […]

Leggi tutto

Siamo (davvero) in una fase di transizione

Nell’editoriale dell’ultimo numero di Civiltà del bere il direttore Alessandro Torcoli introduce […]

Leggi tutto

È l’ora della verità (per fare informazione con onestà intellettuale)

Pubblichiamo l’editoriale dell’ultimo numero di Civiltà del bere (3/2024) in cui il […]

Leggi tutto

Addio a Benito Nonino, l’uomo che ha nobilitato l’arte della Grappa

Sono passati pochi giorni dalla scomparsa del grande distillatore friulano, avvenuta all’età […]

Leggi tutto

Cosa resta dell’ultimo Vinitaly? La riflessione di Luciano Ferraro

L’appuntamento veronese è stata l’occasione per accendere i riflettori sul grande tema […]

Leggi tutto

L’insostenibile pesantezza della sostenibilità

Il Convegno per i 100 anni del Consorzio Chianti Classico è diventato […]

Leggi tutto

Cinquant’anni all’insegna del “bere meno ma meglio”

Il giornalista Cesare Pillon ci accompagna in questo viaggio alla scoperta dei […]

Leggi tutto

50 anni di storia del vino: da alimento a buon mercato a prodotto di culto

Per favore Accedi per vedere questo contenuto. (Non sei registrato? Registrati!)

Leggi tutto

I 10 errori da evitare (e che ho commesso) per diventare Master of Wine

Per una volta scriverò in prima persona, ma è inevitabile. Non che […]

Leggi tutto
X

Hai dimenticato la Password?

Registrati