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Con il blend nell’olio il contadino si tutela

15 Luglio 2016 Maria Cristina Beretta
Sono innumerevoli e diversificate le produzioni di blend nell'olio italiano. L’olio extravergine di oliva, o più semplicemente l’olio, è nato come una miscela di olive portate al frantoio assieme. Il contadino doveva tutelarsi dalle avversità del tempo e dalle malattie che potevano colpire le piante. Così inseriva nei campi più varietà, le meglio adattate sul territorio. Ma oggi non è così semplice: ogni produttore ha la sua tecnica.

Il blend nell'olio calabrese

Mimmo Fazari, produttore calabrese a San Giorgio Morgeto (Reggio Calabria), conosce alla perfezione pregi e difetti delle sue varietà principali: carolea, ottobratica e sinopolese. La carolea è più sensibile alla mosca olearia che non l’ottobratica. L’ottobratica, invece, è delicata a causa della lebbra, un fungo che prolifica quando c’è ristagno di umidità ma che difficilmente attecchisce sulla sinopolese. E poiché ogni varietà ha i suoi tempi di maturazione e le sue caratteristiche gustative e di longevità, ciò che ne esce era ed è un mix in cui i pregi e difetti si armonizzano tra loro. Dal punto di vista del gusto, ad esempio, le note amare della carolea vengono supportate dal piccantino dell’ottobratica, il tutto accompagnato dalla longevità della sinopolese.

I classici pugliesi

Se si pensa che l’Italia comprende 530 varietà di olive e che le aziende sono mediamente piccole su un territorio molto variegato, è facile intuire la ricchezza di composizioni varietali selezionate nel tempo. Un altro classico blend è il toscano moraiolo, frantoio e leccino. In Puglia la dolcezza dell’ogliarola salentina è irrobustita dall’amaro della coratina anche se il blend non è esattamente del territorio, visto che la coratina è tipica del Barese.

Delicato, medio e intenso

Nella Sicilia Occidentale, nella zona di Palermo e di Trapani, abbiamo: biancolilla, nocellara e cerasuola. Marino Giorgetti, capopanel e ideatore del concorso internazionale Sol d’Oro, promosso da Verona ere, ha dato ampio spazio ai blend, anche per la loro realtà storica, suddividendo i premi nelle tre tipologie di fruttato dell’olio: delicato, medio e intenso e nella categoria biologico. Un riconoscimento va anche al monocultivar. Nella sua pluriennale esperienza come consulente aziendale a erma la necessità di un blend da singole frangiture per calibrare le esigenze dei mercati esteri, perché i neo ti lo preferiscono delicato.

Le frangiture separate

La produzione di oli da una sola varietà di olive è recente ed è legata all’introduzione di frantoi di nuova generazione, pensati per lavorare su diverse linee produttive e con diversi sistemi di frangitura. Inoltre i nuovi uliveti sono impostati sui monocultivar per una gestione mirata, specie in caso di malattie. Alcuni territori sono caratterizzati naturalmente da una sola varietà, tipo la Liguria di Ponente con la taggiasca, e in questo caso c’è chi preferisce creare un blend da più raccolte della stessa oliva come fa Giovanni Abbo, produttore e presidente dei Mastri Oleari: in questo modo l’olio ha più sfumature e carattere.

Chi assaggia prima del blend

Un’altra tecnica che si basa sulle singole frangiture è quella adottata da Piero Gonnelli, produttore toscano e presidente Aifo (Associazione italiana frantoiani oleari). Lui assaggia in anteprima i risultati di una piccola parte delle olive raccolte e in seguito decide in che quantità e in che periodo frangerle assieme. Tecnica che ritiene dare i risultati migliori.

I blend aziendali

L’extravergine, essendo un prodotto agricolo, ogni anno è diverso e a ogni raccolta occorre calibrare l’apporto di ciascuna varietà. È un prodotto che fidelizza molto il consumatore, il quale acquista quella tipologia perché vuol ritrovare determinate caratteristiche. Per Laura Turri, produttrice a Cavaion Veronese, il blend è la base della  filosofia aziendale in quanto frutto di storia familiare, di territorio, di ricerche e di scelte: rappresenta un prodotto facilmente riconoscibile e difficilmente imitabile. La strada di migliorare la composizione dell’olio, con l’obiettivo di un’armonia maggiore, è completamente diversa da quella di correggere, che parte dal presupposto di rimediare a un difetto tale da compromettere il prodotto. Ciò capita più facilmente nelle produzioni su grande scala quando gli oli di partenza sono carenti o difettati.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 03/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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