Si definisce così il vino ottenuto da uve a bacca bianca (però può anche essere ricavato da uve a bacca nera vinificate in bianco). Lo si dice bianco per contrapporlo al rosso, ma è una convenzione: il vino non può avere questo colore perché è giallo come le uve che gli danno vita, un giallo che può variare dal paglierino tenue al dorato carico, con sfumature verdoline più o meno intense, ma sempre giallo è. Fino a una trentina d’anni fa i bianchi erano vinificati come i rossi, con macerazione delle bucce, ed erano perciò di un colore molto intenso. Con l’arrivo di più moderne tecnologie, per reazione, si produssero per una decina d’anni vini di facile beva che i sommelier definivano “bianco carta”, pressoché incolori. Poi, una volta scoperto che erano impoveriti dalla vinificazione in assenza delle bucce, si sono scelte procedure più equilibrate realizzando nuovamente vini di color giallo. Che però quando è troppo pronunciato incontra grande diffidenza: la nostalgia per il “bianco carta” è molto diffusa. È la legge di Gresham: la moneta cattiva scaccia quella buona.