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Assicurarsi una buona vendemmia

29 Settembre 2020 Matteo Forlì
Assicurarsi una buona vendemmia

Non solo avversità atmosferiche. Anche errori umani, guasti e inconvenienti che compromettono il vino o portano al mancato rispetto dei disciplinari. E provocano danni economici maggiori del valore dell’uva riconosciuto dal Ministero. Ecco come le cantine possono proteggersi dai rischi.

Grandine, gelate, siccità. Ma non solo. Dal grappolo d’uva ancora sul tralcio alla bottiglia etichettata sullo scaffale i rischi insiti nel processo di produzione del vino sono più di quelli che appaiono immediatamente evidenti. E la potenziale perdita di valore che generano spesso più gravosa dell’immaginato.

La semplice polizza non basta più

La maggior parte delle aziende vinicole è in generale conscia del pericolo (il 96,4% si assicura in qualche modo secondo i dati Ismea); per proteggere il patrimonio, sempre più consistente, di una cantina la semplice polizza non basta più e l’indennizzo che risponde al valore dell’uva redatto dal Ministero delle politiche agricole – quello che normalmente si riconosce – copre solo una (piccola) frazione del danno.

Marzio Emanuele Parri di Assiteca

Gestione integrata in cantina

«Prima il vino era un prodotto più comune, quotidiano, spartano. Oggi è un articolo di pregio, che richiede attenzione e protezione. Le pratiche di vigna e cantina hanno bisogno di un approccio consulenziale rivolto al risk management», spiega Marzio Emanuele Parri, responsabile di filiale e account executive di Assiteca, broker assicurativo italiano che tra i suoi clienti vanta Marchesi Frescobaldi, Ornellaia e Masseto. Un sistema orientato alla gestione integrata del rischio che ha assunto particolare valore nel post Covid dove, prosegue Parri, «il pericolo maggiore è stato quello di veder bloccata la vendemmia e la successiva lavorazione per il mancato rispetto delle stringenti normative sulla sicurezza».

Dalla compliance all’evento accidentale

Questo approccio prevede degli step messi in atto assieme all’azienda partner. «Il primo passo deve essere una radiografia sulla compliance, cioè dell’allineamento a norme sempre più precise in termini di sicurezza sul lavoro, ambiente, fiscalità. Quindi l’analisi dei rischi operativi, ovvero quelli correlati alla difesa dei beni e le eventuali responsabilità nei confronti di terzi. Poi l’attuazione di modelli organizzativi integrati che diano la certezza di evitare errori metodologici. E solo in ultimo la copertura, adeguata, dell’evento accidentale».

Una lunga catena di rischi

Dalla raccolta alla commercializzazione i passaggi di trasformazione, trasporto e stoccaggio nella catena vinicola sono numerosi e moltiplicano la possibilità di accadimento di questi scenari, imponderabili e soprattutto normalmente non assicurati. «Alcuni di questi rischi sono ad esempio l’errore umano di manovra nelle fasi della lavorazione del vino, dai tagli alla miscelazione di additivi fino a sbagli o guasti che provocano il mancato rispetto delle temperature nelle fasi di fermentazione o conservazione e quindi alterazioni del prodotto», prosegue Parri.

Il rischio di declassamento

«Poi possono verificarsi problemi di inquinamento del vino, che ad esempio tocca terra in seguito alla rottura di un vaso vinario o delle bottiglie durante la fase di affinamento. O ancora una serie di inconvenienti in cantina che non pregiudicano del tutto la produzione ma costringono al declassamento per il mancato rispetto dei requisiti del disciplinare, e che quindi non può essere venduto come Doc o Docg ma diventa Igt o vino da tavola».

La forbice tra valore dell’uva e prezzo del vino

Alla moltiplicazione delle potenziali avversità nella lunga catena del vino si aggiunge il problema che il rimborso al verificarsi di tali circostanze è molto distante dal valore che avrebbe avuto il prodotto al dettaglio. Una forbice che può pesare come un macigno sui bilanci delle aziende più sfortunate. E che ha spinto alla creazione di programmi, come “Le vie della vite”, in cui si risarcisce anche il mancato ricavo sul prodotto finito oltre al valore dell’uva stabilito dal Mipaaf. «In questo caso il rimborso è pari al prezzo della bottiglia sul listino del produttore; viene garantito che si parli sia di alterazioni all’uva sia al mosto e a prescindere che accada dal momento della raccolta in una qualsiasi delle fasi di lavorazione, dalla pigiatura alla fermentazione, dalla svinatura alla torchiatura, fino all’affinamento e alla conservazione».

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