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Aria di neve

16 Dicembre 2016 Alessandro Torcoli
Per Natale il mondo del vino ha ricevuto un regalo, il cosiddetto Testo Unico: 90 articoli che mettono ordine nell’intricata normativa precedente. «Un’operazione di semplificazione che era attesa da anni e che consente di tagliare burocrazia, migliorare il sistema dei controlli, dare informazioni più trasparenti ai consumatori», ha dichiarato il ministro Maurizio Martina. Al netto degli enzimi che possono far funzionare tutto ciò, ossia i decreti attuativi, senza i quali il Verbo non s’incarna, è una notizia di speranza e cade al momento giusto, alle soglie dell’inverno.

L'inchiesta Prosecco

Qui a Vinopoli, infatti, comincia a fare freddo. Il barometro dei consumi tira al maltempo, si salvano solo le bollicine, e in particolare il Prosecco. Però, il clima festoso del vino comincia a manifestare segnali di gelo provocati da scandali e da inchieste che rendono labile la percezione di un confine tra il vero e il falso. Il più clamoroso successo del ventennio, il Prosecco appunto, è simbolo di leggerezza e stile italiano, elementi che stridono con l’immagine velenosa che recentemente ci ha trasmesso la televisione pubblica. Se esistono sacche di malcostume da stigmatizzare, il Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, e molte altre denominazioni, stanno sviluppando da anni programmi di sostenibilità ambientale. Ma sono molto più “notiziabili” gli scandali dall’Oltrepò e dal Chianti, o del Sauvignon in Friuli.

Il prezzo dell'onestà

Cala, di fatto, la fiducia del consumatore. Ben vengano controlli e sanzioni, purché gestibili e incisivi. Così la pensano anche molti seri imprenditori vinicoli. Non si può beffare il consumatore, etichettando sotto un’origine certificata (Doc, Docg, Igt) del vino proveniente da chissà dove. Non si può sofisticare il vino, generalmente apprezzato anche per la sua immagine di naturalità. Esiste un rimedio, che non passi per i Nas? Forse no, l’onestà è una categoria morale difficilmente irreggimentabile, a meno di derive autoritarie o giacobine, di populismi o isterismi.

C'è chi si gioca la faccia

Eppure se smascherassimo Babbo Natale, per restare in clima natalizio, potremmo fare un passo avanti. Fuor di metafora, il legame famiglia-territorio, il binomio aureo del vino italiano, è di fatto una garanzia. Quando un marchio è un cognome, o è intimamente legato a una famiglia, il produttore si gioca la faccia e, se accade un “pasticciaccio brutto”, rischia di essere emarginato sia nel mondo del vino, sia nel proprio territorio.

Uiv e Federvini al bivio

Quest’ultimo, si è dato regole che nascono da un patto tra i produttori, quindi il discorso si fa pericolosamente sociale, come dimostrò la tempesta del Brunello. Su questi semplici principi di trasparenza, legati a marchio e territorio, il comparto potrebbe trovare un cammino comune, mentre si percepiscono segnali di tensione. Unione italiana vini e Federvini, ad esempio, i due principali sindacati di produttori vinicoli, che sembravano vicini alla fusione, sono ora a un bivio, che aprirà forse un nuovo scenario.

Aspettando la primavera

Cantava il poeta della canzone Sergio Endrigo: “Sopra le nuvole c’è il sereno, ma il nostro amore non appartiene al cielo. Noi siamo qui, tra le cose di tutti i giorni, i giorni e i giorni grigi. Aria di neve sul tuo viso, le mie parole sono parole amare senza motivo”. La canzone prelude, chiaramente, alla fine di un amore. Ma il vino scalda i cuori, e siamo sicuri che la neve si scioglierà a primavera.  
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 06/2016. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!

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