Un’ indagine sul peso della burocrazia nel settore viticolo
Secondo Assoenologi il 25% del tempo di lavoro di un enologo sarebbe impegnato nella compilazione di registri, dichiarazioni e denunce. Tutti chiedono a gran voce un sistema di controlli coordinato e informatizzato. I costi per essere al passo con la legge sono alti: circa 250 mila euro per una cooperativa di medie dimensioni
Non c’è stato ministro delle Politiche agricole che non abbia annunciato, urbi et orbi, un’azione decisa per alleggerire il fardello burocratico che appesantisce le aziende agricole italiane. La mole di adempimenti a cui sono sottoposte le nostre Cantine non ha eguali e, oltre a incidere pesantemente sulla competitività dell’intero settore, di fatto ne ostacola lo sviluppo.
Qualche anno fa (2007) un’indagine di Assoenologi evidenziò come il 25% del tempo di lavoro di un enologo fosse impegnato nella compilazione di registri, dichiarazioni e denunce varie, a scapito dell’attività aziendale e di cantina. Per non parlare di quando, durante l’anno, l’enologo deve fare fronte alle visite ispettive in quanto responsabile della produzione. E l’elenco dei controllori è piuttosto lungo, almeno tanto quanto è imponente l’apparato burocratico. I Comuni dovrebbero verificare un po’ di tutto: vigneti, cantine, edifici, recinzioni, acque reflue, certificare l’inizio attività e molto altro ancora. Mansioni che a loro volta si sovrappongono a quelle già esercitate da Asl, Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente), Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (Icqrf), Nuclei antisofisticazione e sanità (Nas), Corpo forestale, Guardia di finanza, Polizia provinciale, Vigili del fuoco, ecc. Ma purtroppo la questione non finisce qui. Il bello, se così si può dire, è che si tratta di entità del tutto autonome e indipendenti. Il risultato è che ognuno è all’oscuro dei controlli effettuati dall’altro e pertanto non c’è la possibilità di confrontare verbali, documentazioni, risultanze ispettive e quant’altro. Così gli stessi dati, già acquisiti, possono essere richiesti più e più volte, in un corto circuito senza fine.
Chiede Giancarlo Prevarin, presidente di Assoenologi, «Possibile che i controlli – e siamo i primi a dire che devono essere fatti in modo trasparente e corretto – non si possano sinergicamente armonizzare?». Perché può anche capitare che nel momento cruciale della vendemmia, con le partite di uva che arrivano in cantina aspettando di essere smistate, qualcuna delle autorità sopra elencate decida di effettuare una verifica: le difficoltà, per chi la subisce in un momento del genere, sono evidenti. Lucio Mastroberardino, presidente dell’Unione Italiana Vini, osserva che: «Parlare di sburocratizzazioni in un Paese come l’Italia suona quasi noioso. Bisognerebbe invece trovare delle soluzioni il più possibile semplici per risolvere i problemi. Basti pensare a uno strumento come l’anagrafe dei controlli on line che permetterebbe ai vari enti di essere informati su quali accertamenti sono stati effettuati evitando, sia all’azienda che ai corpi ispettivi, inutili doppioni».
La richiesta condivisa da tutti i soggetti della filiera è di avviare un processo di semplificazione, senza mettere in discussione il ruolo di regolazione e di supervisione delle autorità pubbliche. A proposito di costi, Fedagri Conf-cooperative, a cui aderiscono ben 425 cooperative vitivinicole nazionali, 141.000 soci, una produzione di 30 milioni di ettolitri e un fatturato di 2,4 miliardi di euro, ha presentato un’indagine sui costi della burocrazia in una Cantina cooperativa di medie dimensioni. Secondo Fedagri il “peso” sarebbe quantificabile in 5,14 euro al quintale d’uva e di 7,34 euro per ettolitro di vino di qualità. Pare che in Francia si spenda esattamente la metà, meno della metà in Germania e fino a un terzo di questa cifra in Spagna. Per una Cantina cooperativa di medie dimensioni con un fatturato di 10 milioni di euro l’anno, il peso della “buronospora” (incontro della parola burocrazia con peronospora, la malattia della vite, ndr) e i costi della burocrazia rappresentano quasi il 2,6% delle vendite.
Confagricoltura si è voluta cimentare sul calcolo del tempo necessario per osservare una serie di adempimenti burocratici. Come “campione” di riferimento è stata scelta un’azienda dell’Italia centrale di 80 ettari con produzioni vitivinicola, olearia, di seminativi, zootecnica e attività agrituristica. Tutte funzioni gestite da uno staff composto da un impiegato e cinque operai, di cui due a tempo indeterminato. Una volta individuate le procedure burocratiche a cui è soggetta l’azienda, in virtù della normativa vigente per ciascuna di esse è stato calcolato (in ore e giornate) il tempo occorrente per sbrigarle. Al termine della simulazione è risultato che l’azienda deve impegnare circa 100 giornate lavorative di 8 ore ciascuna per svolgere direttamente e personalmente tutte le attività amministrative necessarie alla gestione, il che significa un impegno medio di due giornate la settimana da offrire alla burocrazia. E ciò senza tenere conto del tempo speso per l’aggiornamento che le continue modificazioni normative impongono. In particolare, per il solo settore vitivinicolo si evidenzia che i numerosissimi adempimenti, dalla registrazione dell’impianto vitivinicolo ai controlli sui vini prodotti, dalle autorizzazioni sanitarie per la cantina alle dichiarazioni di giacenze, delle uve, delle superfici vitate e la compilazione dei registri di cantina ecc., sono necessarie 190 ore, cioè 24 giornate lavorative. Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, la più importante associazione agricola italiana, entra nel merito delle proposte concrete per cercare di alleviare le incombenze che gravano sul settore: «La possibilità, per esempio, di rivendicare le denominazioni di origine contestualmente alla dichiarazione di produzione è una richiesta che i produttori stanno portando avanti da anni e, nonostante le basi normative siano state predisposte, il sistema ancora non è stato implementato. Sarebbe di aiuto al produttore poter gestire le proprie dichiarazioni presso un unico sportello anziché rivolgersi ai vari enti attualmente preposti. Al sistema vinicolo italiano serve una semplificazione amministrativa, l’accesso a strumenti normativi validi, informazione e soprattutto un’adeguata progettualità».
Inoltre, anche esercitare l’attività agrituristica, assai diffusa nel comparto vinicolo, è assai oneroso. Al titolare sono necessarie circa 42 ore di lavoro per procurarsi la documentazione, istruire le pratiche e infine ottenere l’autorizzazione a cui però seguono ulteriori adempimenti (sicurezza, norme Asl, procedura Haccp). Infine si calcola in circa 125 ore il tempo occorrente alla gestione ordinaria dell’attività. Ore complessive previste: 167 ore e 21 giornate. L’elenco delle cose da fare continua a essere sempre lungo e complesso e, nonostante le assicurazioni di prammatica, la situazione e i tempi, per le aziende, non accennano a modificarsi. «Siamo entrati in graduatoria per un bando relativo al PSR 2009 sull’innovazione. Bene, siamo a metà del 2011 e sinora non è arrivato nessun finanziamento. Siamo andati avanti da soli, contando sulle nostre forze», racconta Francesca Argiolas dell’omonima azienda sarda. «È come se non ci si rendesse conto che non siamo gli unici a fare vino nel mondo. Se non innoviamo, specialmente in tempi di crisi, gli altri Paesi che non hanno le nostre lentezze ci toglieranno spazio nei mercati». Marco Caprai, noto imprenditore umbro della zona del Sagrantino, mette l’accento sia sul “diluvio normativo” che pesa sulle attività delle imprese – praticamente ci sono regole su tutto lo scibile aziendale – sia sulla incapacità della burocrazia di assicurare tempi certi. «Entro il 30 giugno bisogna effettuare la denuncia dei vigneti al Sian (Sistema informativo agricolo nazionale) che ora si può fare solo per via telematica perché il cartaceo è stato abolito. Ebbene, è passata da un pezzo la metà del mese e non è ancora possibile avere l’accesso al sistema e, quindi, non si possono comunicare i dati». Uno dei tanti ritardi che rallentano le attività aziendali, per non parlare dei tempi certi per il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni, è collegato alle diverse interpretazioni della stessa norma a seconda della regione o addirittura del funzionario addetto, denunciano tanti imprenditori. «Se vogliamo competere, il sistema deve essere a fianco del settore , altrimenti vuol dire semplicemente scaricare i costi delle inefficienze sulle imprese», conclude Caprai. Insomma il problema è molto sentito e non riguarda solo l’agricoltura o la viticoltura ma il complesso della nostra vita di tutti i giorni. Sosteneva argutamente Cyril Northcote Parkinson, un politico inglese noto fustigatore della burocrazia, che: “Il lavoro (del burocrate, ndr) si espande fino a occupare tutto il tempo disponibile per la sua esecuzione”. E da noi questa massima sembra essere applicata alla lettera. Del resto non è un caso che nella nostra bella Italia per provare a districarsi nella fittissima giungla di leggi e di decreti sia stato creato un Ministero, senza portafoglio, per la semplificazione normativa (guidato da Roberto Calderoli). «Tutta questa burocrazia a volte demotiva l’imprenditore e mette in discussione anche l’azienda più seria», dice Sandro Boscaini di Masi Agricola «Nessuno vuole evitare i controlli, anche perché sono una salvaguardia per i produttori per bene. Insomma, bisognerebbe sfoltire e razionalizzare eliminando costi indotti che nulla hanno a che vedere con la sicurezza. Oltretutto negli 87 Paesi dove siamo presenti siamo sottoposti ad ulteriori accertamenti visto che quelli nazionali, spesso per protezionismo, non sono considerati sufficienti. Basti pensare che abbiamo tre persone che in azienda si occupano solo di queste pratiche, nazionali e internazionali». Ma se dal Veneto si passa alla Sicilia, le sofferenze e i costi degli imprenditori non cambiano. «Donnafugata ha circa 80 dipendenti», ci dice Josè Rallo, «dei quali tre si occupano quasi solo di scartoffie come certificati, richieste, autorizzazioni, denunce. Vuol dire lavorare ancora con la carta visto che la pubblica amministrazione non è informatizzata o, quando lo è, ha dei supporti elettronici diversi dai nostri». Nonostante le pecche del nostro sistema e le difficili condizioni di lavoro, i nostri quasi 35.000 produttori, dei quali oltre 25.000 medio-piccoli artigiani della qualità integrati con le aziende più grandi, riescono a ottenere successi innegabili incrementando i volumi di vendita all’estero (oltre 20 milioni di ettolitri) e i fatturati, e giungendo nel 2010 a quota 4 miliardi di euro. Un grande risultato di cui essere fieri. Recentemente, in un convegno il ministro Romano aveva sostenuto che: «Il vostro lavoro è quello di fare gli agricoltori, non di correre dietro alla burocrazia, alle carte bollate, ma fare gli imprenditori e far fruttare la terra». Sarebbe il momento però di passare dalle parole ai fatti concreti. Certo, in un mercato domestico in recessione, se ci fosse una burocrazia più friendly, più impegnata a snellire o a informare piuttosto che reprimere, darebbe un aiuto di non poco conto alle aziende e a tutto il comparto. Sullo sfondo di questo panorama c’è la capacità dei vari protagonisti della filiera di riuscire a fare lobby con l’obiettivo di creare qualche crepa nel muro di una cultura burocratica assai complessa e radicata. Da qualche tempo è in discussione un documento molto specifico sulla semplificazione normativa, presentato dall’Alleanza delle cooperative italiane. Le altre organizzazioni lo stanno valutando per poi eventualmente condividerne lo spirito e le proposte. Trovare un accordo su una buona parte dei contenuti sarebbe già un ottimo inizio.