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Albicocca, dolci varietà italiane del superfood estivo

12 Luglio 2020 Giovanni Caldara

Regina della frutta di stagione, protagonista anche in tavola, l’albicocca è legata al nostro Paese da una storia millenaria. Tra le cultivar più interessanti ci sono quella di Scillato, di Valleggia e la vesuviana Pellecchiella.

A rifletterci bene non stupirà più di tanto quel detto turco che per dire “Meglio di così non si può avere” si esprime con le parole: “La sola cosa migliore è un’albicocca a Damasco”. Perché l’albicocca, tra i superfood che ci traghetteranno nel mondo di domani, un posto d’onore se lo conquista di diritto.

Un frutto, tante proprietà

È infatti un frutto energizzante, nutriente (ricco com’è di potassio, carotenoidi, vitamine C e del gruppo B, nonché di fibre e sali minerali) ed è anche digeribile. È sinonimo d’estate perché dissetante, ma anche per via di quel betacarotene che favorisce l’abbronzatura e protegge la pelle. Ancora, lega in sé note fruttate e tropicali, dolcezza e acidità, ha sentori di lavanda che s’affacciano qua e là tra le varietà, vere e proprie eccellenze, che maturano – e non da oggi – lungo tutto lo Stivale.

Una storia antica

Dalle origini in Asia centrale, poi in Asia minore, l’albicocca è giunta in Italia e in Grecia durante le guerre romano-persiane. In Occidente la sua comparsa è legata al nome del celebre Lucullo, generale romano dai gusti raffinati, che portò da noi anche il ciliegio verso il 70 a.C. In un affresco della Villa di Oplontis, su un triclinio è raffigurato un dolce simile a una cassata con albicocche, giunte a Pompei qualche anno prima della fatidica eruzione del 79 d.C.

L’affresco di Villa di Oplontis

La tradizione vesuviana

A metà Ottocento, nell’area del Vesuvio, l’albero di albicocco era il secondo più diffuso tra i fruttiferi dopo il fico e l’eccezionale numero di cultivar (in letteratura se ne contano un centinaio) sottolinea lo straordinario legame con i contadini e la loro terra già a partire dai nomi delle diverse varietà: Boccuccia, Cafona, Vicienz ‘e Maria, Monaco Bello. Oggi la più interessante è sicuramente la Pellecchiella, molto dolce e consistente, che cresce all’interno del Parco nazionale del Vesuvio.

Tra Sicilia e Liguria, in lotta per la sopravvivenza

L’albicocca di Scillato, presidio Slow Food, è una varietà dal frutto piccolo, ma dal sapore intenso. Qui ai piedi del parco delle Madonie, in provincia di Palermo, Alberto Battaglia insieme ad altri tre “carusi” (ragazzi, in siciliano) ha dato vita dal 2014 al progetto Terre di Carusi: «Abbiamo contagiato la gente a salvaguardare questa cultivar, da oltre 80 anni tipica del nostro territorio, e a rimettere in coltura alcune terre abbandonate. Ad oggi abbiamo riattivato i primi 60 alberi, dato voce a 400 già prossimi alla senescenza e piantati altri 250. Grazie alla sua precocità (l’albicocca di Scillato matura a fine maggio) non facciamo trattamenti chimici. Irrighiamo con le acque sorgive che beviamo». Spostiamoci più su, sulla costa savonese, in Liguria. Qui matura l’albicocca di Valleggia, dalla buccia sottile ma dall’aroma penetrante. Un’altra storia di resistenza e di recupero di un prodotto d’eccellenza a rischio, colpevole, d’estinzione.

Il Pan Albicocche di De Vivo

Proposte d’autore

Fresche, disidratate ed essiccate. In confetture, composte, gelatine, estratti, liquori ma non solo. Ci sono tantissimi modi per mangiare le albicocche A Cinisi (Palermo) Santi Palazzolo ha creato il gelato all’albicocca di Scillato. Dei sei lievitati da assaporare tutto l’anno, i maestri pasticceri De Vivo di Pompei ne realizzano uno, parte della linea “Passione Campania”, con l’albicocca Pellecchiella. La famiglia Trafoier, del ristorante stellato Kuppelrain in Val Venosta, propone le sue celeberrime albicocche non solo nei dolci, ma con il foie gras e anche con il carpaccio di salmerino alpino. «Piatti perfetti da accompagnare con due Moscato giallo in versione passito: Vinalia della Cantina di Bolzano e Sissi della Cantina di Merano», precisa la sommelier Sonya Trafoier.

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