Con il progetto Convisar, portato avanti da 10 anni in collaborazione con altre Cantine sarde, Argiolas vuole recuperare i biotipi dell’isola e impiantare così nuovi vigneti. Undici le varietà coinvolte nella ricerca. I primi successi arrivano da Cannonau, Monica e Carignano.
Da 10 anni Argiolas, azienda leader nel panorama vitivinicolo della Sardegna, è impegnata in un progetto a largo raggio sull’importante tema della biodiversità. Un progetto ambizioso partito nel 2010 e denominato Convisar, acronimo del Consorzio vino Sardegna, con la partecipazione di altre Cantine isolane e il supporto agronomico ed enologico dell’Università di Sassari e di altre agenzie del territorio.
Un progetto di recupero dei biotipi
Viene chiamato a collaborare quale responsabile scientifico Giacomo Tachis, fervido sostenitore del potenziale qualitativo della viticoltura sarda, e con lui anche il collega enologo di Argiolas, Mariano Murru, responsabile tecnico del progetto. L’obiettivo dichiarato è il recupero dei biotipi, sia quelli più noti e diffusi in Sardegna sia quelli minori, per avere poi materiale da riprodurre nell’impianto di nuovi vigneti.

Salvaguardare la genetica e la biodiversità
Nell’ambito di questa ricerca Argiolas ha ricoperto fin dall’inizio un ruolo di primo piano, mettendo a disposizione campi sperimentali nei diversi vigneti di proprietà distribuiti sull’isola, nonché le competenze tecniche del suo personale agronomico ed enologico. «Salvaguardare la genetica recuperando le vecchie piante delle varietà autoctone, specie di quelle che potevano assicurarci uno standard qualitativo migliore, è stato il nostro obiettivo fin da subito», spiega Valentina Argiolas. «Sono inoltre dell’avviso che sia estremamente importante studiare la biodiversità delle varietà in modo da non perderla con l’andar del tempo, e quindi non sprecare il valore aggiunto delle diverse espressioni».
Due i vigneti sperimentali di Argiolas
Nel 2010 l’azienda di Serdiana ha piantato le prime barbatelle di Cannonau autoprodotte con cloni già presenti nei vigneti aziendali. Ben 500 i biotipi presi in considerazione in questa fase iniziale. «In questo primo vigneto, monitorato con osservazioni agronomiche per 4 anni», aggiunge l’agronomo Francesco Deledda, «si sono evidenziate e mappate le piante che meglio hanno risposto alle condizioni pedoclimatiche della zona, individuando quelle che presentavano performance ottimali in termini di equilibrio vegeto/produttivo, caratteristiche morfologiche ed organolettiche dei grappoli/acini e tolleranze agli stress biotici e abiotici. Questo studio ci ha portato a una selezione del materiale di partenza grazie alla quale nel 2016 si sono scelte le marze per la riproduzione di 70 piante per biotipo riprodotte in un secondo vigneto in modo da avere maggiore produzione per le successive microvinificazioni».
Undici varietà per 5 mila piante
Undici le cultivar di uva prese in considerazione (tra cui Vermentino, Cannonau, Monica, Bovaleddu, Malvasia, Carignano, Nuragus, Moscato e Nasco) provenienti da tutta la Sardegna.
Per ogni varietà sono state selezionate circa 5 mila piante, ognuna delle quali è stata poi sottoposta a test diagnostici per escludere la presenza delle specie virali più comuni.

L’obiettivo è creare nuovi cloni e una banca dati
Per la seconda fase, quella iniziata nel 2016, la sperimentazione è avvenuta nelle vigne di Su Pranu. Qui sono stati piantati i migliori cloni selezionati e replicati per nuovi studi e per continuare la selezione massale, cui è seguita l’analisi enologica mediante microvinificazione. Tutto ciò con l’obiettivo di creare cloni per la moltiplicazione e una banca dati per il futuro del settore enologico della Sardegna.
Incoraggianti i primi risultati
«Già da ora», dice Mariano Murru, «abbiamo riscontrato risultati interessanti. Sul Cannonau, ad esempio, abbiamo selezionato biotipi in grado di fornire una quantità di sostanze fenoliche molto più elevate del solito e con caratteristiche che si rifanno ai biotipi originari dell’isola. Caratteristiche che si ritrovano soprattutto in vigne di una certa età. Non c’è dubbio che il nostro sia un percorso rivolto a riappropriarci dei biotipi tradizionali e avere la possibilità di ripropagarli e consegnarli a un vivaista per la successiva riproduzione, e allo stesso tempo mantenere la biodiversità».
I migliori sono i biotipi tradizionali
Murru ricorda anche come in passato siano stati inseriti nei vigneti sardi biotipi che non facevano parte della popolazione locale provocando di fatto una sorta di “inquinamento biologico”. Ciò è successo non soltanto con il Cannonau, ma anche con il Monica (con rese ettariali molto elevate) e anche con il Carignano, e il risultato sono state uve che non avevano la concentrazione e l’eleganza dei biotipi tradizionali.
Dopo il Cannonau, toccherà al Vermentino
Adesso, già da queste prime sperimentazioni si è riscontrato un effettivo miglioramento qualitativo delle uve, a cominciare proprio da quelle di Cannonau, la varietà alla quale Argiolas ha destinato 3 ettari di vigneto sperimentale. I primi risultati sul vino si avranno tuttavia non prima di 3-4 anni. Inoltre, proprio nel corso del 2020, a prosecuzione del progetto originario, l’azienda ha destinato un’altra porzione di vigneto alla sperimentazione sul Vermentino.
Un lavoro utile per l’intera isola
Insomma, 10 anni di lavoro di ricerca da parte della famiglia Argiolas per contribuire non solo al miglioramento qualitativo dei vini sardi, ma soprattutto alla valorizzazione e conservazione di un patrimonio genetico che tornerà utile all’intero panorama vitivinicolo produttivo della Sardegna.
In apertura Valentina, Francesca e Antonio Argiolas
Realizzato in collaborazione con Argiolas.
Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 4/2020. Acquista
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