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Totem e tabù del vino naturale

6 Ottobre 2017 Alessandro Torcoli
Non finiremo mai di apprezzare il vino, non solo quello bevuto, ma anche quello parlato. Ogni volta che si tocca un argomento, nella molteplicità dei suoi aspetti, questa straordinaria invenzione umana ci esalta, c’infiamma e poi, patapunf!, ci riporta a più miti consigli. Se la strada è maestra di vita, la vigna piega all’umiltà. Invenzione umana. Partiamo da questo semplice assunto per introdurre una riflessione germogliata durante un incontro con Monika Christmann, presidente dell’Oiv, l’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin, e ricercatrice del prestigioso istituto di alta formazione in Viticoltura ed enologia di Geisenheim, sul Reno. Qui abbiamo partecipato a un dibattito con Christmann e altri autorevoli esponenti del settore sul tema degli additivi nel vino e sulle regole per l’etichettatura. Apparentemente, roba da colpo di sonno. Invece in un paio d’ore abbiamo ricevuto stimoli di riflessione su temi fondamentali.

Ha senso segnalare gli additivi in etichetta?

Dicevamo: vino, invenzione umana. Il nostro dibattito sugli additivi è rapidamente scivolato sui cosiddetti vini naturali, cioè quelli che non dovrebbero contenere agenti esterni (a parte un pizzico di solforosa, alla quale non rinunciano nemmeno i guru). Molti sostengono che per trasparenza bisognerebbe riportare in etichetta tutte le sostanze esogene utilizzate. Per altri, dato che nessuna di esse è nociva per la salute (altrimenti sarebbe vietata a livello internazionale), non ha senso appesantire etichette già difficili da interpretare, con il rischio di allontanare molti consumatori. Il vino è già un prodotto sufficientemente “complicato” agli occhi delle persone comuni (il 95% dei bevitori).

Il primo tabù del vino naturale: di "naturale" c'è solo l'aceto

Per Christmann (e per molti altri) “naturale” è un aggettivo sbagliato, che degrada tutto il resto a “non naturale”. È bene ricordare che il prodotto naturale della fermentazione del mosto è l’aceto. Il vino è invece un’invenzione dell’uomo, che ha scoperto la bellezza di una fase di grazia in cui gli zuccheri trasformati in alcol mantengono profumi invitanti e un sapore equilibrato. Nostro scopo è prolungare questa fase più a lungo possibile.

L'esteta e il salutista

Da ciò si apre un’ampia riflessione che pone i suoi limiti in due campi di speculazione molto diversi, quando non concorrenti: estetica e salute. Se volessimo trovare i loro estremi sostenitori, avremmo da una parte l’esteta Dannunziano alla ricerca del vino perfetto, indipendentemente dai metodi, e dall’altra il salutista Savonarola che non accetta manipolazioni di sorta in un prodotto che può nascere spontaneamente. Pazienza se non viene sempre bene.

L'alcol è la sostanza più nociva

A parte che il salutista, in ultima analisi, potrebbe giungere (e purtroppo vi giunge) alla conclusione che la sostanza più nociva contenuta nel vino sta nella sua essenza, cioè l’alcol, per cui il discorso rischia di morire sul nascere, è chiaro che si tratta di estremi. Dispiace notare che oggi gli estremi monopolizzano il dibattito. Sarebbe più sensato cercare la maggior salubrità possibile senza mai perdere di vista l’estetica, perché oggi si beve per piacere, non per scaldarsi o nutrirsi.

Né totem né tabù

Non dovrebbe diventare il totem di una setta di adepti ai (diversi e litigiosissimi) movimenti del vino “naturale”. Il vino dovrebbe unire e non dividere. Alcune religioni lo hanno già reso un tabù, ma rischiamo di dargli noi stessi il colpo di grazia, con battaglie ideologiche. In altre parole: noi appassionati (il 5%) rischiamo di batterci per cause che interessano a una minoranza di noi stessi (diciamo il 2%), con il risultato di danneggiare e allontanare il restante 95% dei consumatori. Praticamente folle.  
L'editoriale è tratto da Civiltà del bere 05/2017. Per leggere il numero acquistalo nel nostro store (anche in digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com

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