Muretti a secco per domare la natura
Qui è la natura che detta le regole: la roccia su cui poggiano le Cinque Terre si sbriciola sotto i piedi e con un poco di pioggia franerebbe senza ostacoli fino al mare, se i muretti a secco non la trattenessero. I vignaioli, da secoli, addomesticano questo paesaggio senza antropizzarlo, ma il problema dell’abbandono è sempre più urgente. Per questo motivo, l’opera dei viticoltori assume una doppia valenza: la conservazione di un’antica tradizione vinicola e la preservazione del territorio.De Batté e lo Sciacchetrà
Walter De Batté, viticoltore in Riomaggiore, ha un passato in marina e, per raccontarci le origini del Cinque Terre Sciacchetrà Doc, ci invita a solcare i mari del Mediterraneo. Oggi l’uvaggio di questo passito prevede l’uso dei vitigni Bosco (per almeno il 40%), Albarola e Vermentino, ma nel corso dell’Ottocento l’ampelografo Giorgio Gallesio testimonia l’assenza della varietà Bosco, arrivata dopo l’invasione fillosserica, e la presenza dell’antico Rossese bianco. Lo stesso appellativo Sciacchetrà è un termine recente che ha scalzato il dialettale Refursà, come ancora oggi lo chiamano gli anziani. Nel nome moderno, però, potrebbe celarsi l’origine dello Sciacchetrà (da non confondere con lo Sciac-trà, vino rosato del Ponente ligure), che richiamerebbe il biblico shekar, vino per l’offerta a Dio.Messaggi in bottiglia
Questa storia è giunta fino a noi tramite uno sbiadito messaggio in bottiglia che ha viaggiato dal Medioriente fino al Mediterraneo, e a tramandarla sono i pochi produttori di Sciacchetrà che ancora oggi lavorano con l’ausilio di rotaie per il trasporto dell’uva, un tempo caricata in spalla. L’appassimento dei grappoli avviene in fruttai e dopo la vinificazione, che non può partire prima del 1° novembre dell’anno della vendemmia, lo Sciacchetrà matura per almeno 12 mesi prima della commercializzazione e 36 per l’ancora più rara versione Riserva. Tra i protagonisti della storia moderna delle Cinque Terre, Walter De Battè nel 2006 ha cessato la produzione di Sciacchetrà, lanciando un nuovo messaggio in bottiglia: una protesta verso le istituzioni locali che non credono nella potenzialità di questo vino, ma allo stesso tempo una lettera d’amore per le sue terre piene di luce, punto d’incontro delle culture che attraversano il Mediterraneo.La scelta controcorrente di Luciano Capellini
«Io sono nato in mezzo al vino, come tutti qui». A parlare è Luciano Capellini di Volastra, borgo a 330 metri sul livello del mare, tra Corniglia e Riomaggiore, ed è a questo punto del viaggio che incontriamo il vero Sciacchetrà. Il 2015 colpisce per le intense sfumature iodate e balsamiche e il grande equilibrio tra componente dolce e freschezza. In controtendenza, nel 2004 il viticoltore ha deciso di passare dalla produzione per uso strettamente familiare alle 1.200 bottiglie da 37,5 cl attuali. In tutto il territorio ne vengono prodotte poche migliaia di bottiglie l’anno.Il vin bun, Sciacchetrà secco
Ma Luciano Capellini è il primo a introdurci in quella che oggi è la più importante produzione vinicola delle Cinque Terre e la strada che la maggior parte dei produttori sta seguendo: si tratta della versione secca, che in passato prendeva il nome di “vin bun”, prodotta con lo stesso uvaggio dello Sciacchetrà, ma con caratteristiche più appetibili per il mercato. Assaggiamo il Cinque Terre Doc (Bosco 75%, Vermentino 20%, Albarola 5%) delle annate 2015 e 2012: il Bosco dona sapidità e freschezza intense che con il tempo evolvono, pur mantenendo la tensione nel vino, che profuma di avventure d’oltremare; è un grande rappresentante del territorio.Questo articolo è tratto da Civiltà del bere 02/2017. Per continuare a leggere acquista il numero nel nostro store (anche in edizione digitale) o scrivi a store@civiltadelbere.com. Buona lettura!