di Cesare Pillon
Dev’essere colpa dei telegiornali, che l’anno scorso, per fare audience, hanno enfatizzato “l’estate più calda del secolo”: sta di fatto che l’opinione pubblica s’è convinta che grazie a quella rovente stagione sono stati prodotti vini di straordinaria qualità. Ci sono cascati perfino gli addetti ai lavori: l’Assoenologi sostiene che il 2015 è stato un anno da incorniciare. Secondo gli enologi, infatti, “dopo Ferragosto provvidenziali precipitazioni e il conseguente abbassamento delle temperature hanno ristabilito le condizioni ideali per il prosieguo del ciclo vegetativo della vite, riportando la turgidità negli acini a condizioni ottimali”. Certo, hanno ammesso, l’irrigazione di soccorso era fondamentale per reagire allo stress idrico e qualche problema provocato dall’eccesso di caldo c’è stato: in settembre, nelle zone dove aveva piovuto troppo poco, la qualità delle uve lasciava effettivamente a desiderare. Certo è però, concludeva l’associazione dei winemakers, che “l’andamento climatico e meteorico ha antagonizzato l’insorgere delle principali ampelopatie della vite. I vigneti, in tutt’Italia, hanno quindi goduto di una insolita sanità, i grappoli si sono presentati sanissimi, nonostante il limitatissimo numero di trattamenti”. Proprio così? E proprio in tutt’Italia?