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Argentina Wine Awards – Dopo la prima giornata di assaggi…

19 Febbraio 2013 Alessandro Torcoli
18 febbraio - È terminata una giornata fitta di assaggi. Passeggio in una Mendoza notturna, viva e tranquilla, dalle atmosfere estive, con 20 gradi che accarezzano la pelle in una sera d'estate a 824 metri d'altitudine. I tavoli al fresco sono pieni di gente e tra i più diversi tagli di succulente bistecche alla brace quasi sempre campeggia una bottiglia di rosso. Questa è un'autentica città del vino: ovunque i locali propongono degustazioni e visite alle cantine, che puntellano tutta la provincia. PRIMA GIORNATA DI ASSAGGI - Stamattina i giudici si sono messi al lavoro, per conferire gli ori, argenti e bronzi. Siamo divisi in panel di 3 degustatori, come raccontavo nella cronaca di ieri. Gli organizzatori hanno avuto la sensibilità di creare squadre molto equilibrate: io, Emily e Matías ci capiamo al volo, stranamente. Sarà per l'esperienza toscana dell'enologo e per il palato settato sui vini italiani della O'Hare. Non ci piacciono i vini esplosivi, quelli truccati, né quelli troppo distanti dai caratteri tipici dell'uva d'origine. Cerchiamo quella delicacy, eleganza, che l'enologia del Duemila ha rischiato di seppellire sotto muscoli tonici, sorrisi stampati e ammiccanti movenze. Non dimentichiamo però che ogni vino ha il suo mercato e un bel ruffiano da 7 dollari ha il suo perché, quando davanti all'etichetta c'è un ventenne che dedicata 7 secondi per commentare "buono" e passare ad altre conversazoni. AL VAGLIO 96 CAMPIONI - Il mio team ha valutato 96 vini, divisi in flights da 6-10 assaggi. Ogni flight verrà nuovamente giudicato da un altro panel e tutti insieme riassaggeremo i candidati alle medaglie d'oro e ai premi speciali. Dunque, oggi mi sono cimentato con spumanti metodo classico (mediocri), Sauvignon blanc (corretti, qualcuno coperto di legno), Pinot noir (irriconoscibili, salvo un paio), Merlot (buoni), Malbec (una marea... di tutti i tipi, da 7 a 50 dollari sullo scaffale e per la maggior parte da buoni a eccellenti), Cabernet Sauvignon così così, Syrah discreti. Una brutta sorpresa i due vini dolci, con difetti opposti: un Gewürztraminer con tanto profumo e nessuna spina dorsale e un Petit Manseng, senza profumo ma con una buona acidità e una certa struttura. MALBEC PRINCIPE ARGENTINO - Insomma, il giudizio sintetico del nostro panel riconosce la grandezza del Malbec quale Principe della viticoltura argentina. Provienienti da zone eterogenee per caratteri pedoclimatici, dalla Patagonia a Tupungato, ciascuno si esprime con profumi nitidi, di viola e frutti rossi, e talvolta ammantati di note tostate di cioccolato e caffè, portate da un uso appropriato delle barrique. O dei chips, ma questo non è semplice da discernere, dato che localmente nulla osta il loro utilizzo né bisogna dichiararlo. Una sola volta il  nostro Matías Riccitelli ha scosso il capo deluso, cinguettando "chips chips"... Ne vedremo ancora molti di Malbec nei prossimi giorni, dato che è il vino più presente al concorso. GLI SPUMANTI - Sul resto non c'è molto da dire. Gli sparkling metodo classico, se confrontati ai Classici, sia nostri sia d'Oltralpe, sono incommensurabilmente diversi. Qualcuno più fresco, dal finale più o meno amaro, dal corpo differente a seconda se blanc de blancs, de noirs o misto. Unica scusa: nessuno spumante intendeva posizionarsi oltre i 30 dollari. Tranne uno, nel range 30-49,99, che infatti la giuria ha stroncato senza appello per la pretenziosità. MERLOT CITTADINO DEL MONDO - Tra gli internazionali in lizza, solo il Merlot ha dimostrato, come sempre, straordinario spirito di adattamento. Alcuni campioni sono stati votati per l'oro, compreso uno nella fascia di prezzo oltre 50 dollari (il più caro della mattinata) che ha rispettato le attese, con profondità, potenza e godibilità. I Cabernet Sauvignon, tutti sotto i 12,99 dollari, hanno registrato performance mediocri, e sono stati per lo più proposti per il bronzo, con molti esclusi. Comune ai "Cabs" era la violenta nota erbacea, tipica dell'uva ma davvero troppo evidente, un costante aroma affumicato, e la mancanza di freschezza. Il Pinot noir, pur rinunciando alla sua proverbiale finezza, non è d'altraparte nemmeno emerso all'opposto con quel profumo intenso di ciliegia che caratterizza i Pinot di certi altri Paesi del nuovo mondo viticolo, come l'Oregon. Insomma, non ne abbiamo trovato il senso. A DOMANI CON TEMPRANILLO, CARMENERE, TANNAT E CHARDONNAY - Domani alle 9 si ricomincia: accanto al classico vitigno argentino, con il quale abbiamo fatto amicizia quest'oggi, entrano in gioco Tempranillo, Carmene, Tannat e Chardonnay.

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