La produzione nazionale di vino è di circa 2,5 miliardi di bottiglie all’anno, e il mercato interno non può assorbirle tutte. Per riuscirci ci vorrebbero 50 milioni di italiani, ciascuno capace di scolarsi almeno 50 bottiglie all’anno. Ecco perché l’esportazione non è un optional, è obbligatoria. L’Italia per la verità non può lamentarsi, è il primo esportatore per volumi. Ma per conquistare nuovi mercati, sempre più lontani e difficili, bisogna promuoverlo il vino. E con la crisi che corrode i margini di profitto, farlo da soli è troppo costoso. Bisognerebbe fare della promozione collettiva, ma gli italiani non amano le ammucchiate. Perfino i francesi, che non sono meno individualisti, sanno mettersi d’accordo quand’è il caso: per rilanciarsi, la loro regione vitivinicola più in difficoltà, Languedoc-Roussillon, ha saputo unire sotto la bandiera del marchio “Sud de France” 34 denominazioni d’origine e 62 indicazioni geografiche. In Italia, invece, i consorzi, dilaniati da lotte intestine, si combattono tra loro. Cosicché la promozione viene bocciata.